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Misteri della Tuscia: la grotta della Regina

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Abitata sin dall’età della pietra, culla di civiltà che si sono succedute l’una all’altra, la Tuscia presenta in gran copia emergenze archeologiche, gioielli artistici, natura intatta e luoghi ancora indecifrati. Sono soprattutto gli Etruschi, dopo duemilasettecento anni dalla loro fioritura, ad avvolgersi spesso di mistero che non si lascia penetrare, E’ di questi luoghi che qui vogliamo parlare, dei luoghi enigmatici della Tuscia.  Il primo di questi luoghi è senza dubbio la Grotta della Regina a Tuscania, nella necropoli di Madonna dell’Olivo. Il pannello esplicativo apposto dalla Soprintendenza così ci presenta il monumento, riproponendo le stesse informazioni anche nel locale Museo Nazionale: “Più volte ricordata nella letteratura archeologica e così denominata dai resti di una decorazione pittorica perduta sin dai primi decenni del secolo scorso, la Grotta della Regina, monumentale ipogeo di età ellenistica, ha restituito numerosi sarcofagi oggi dispersi”. E subito, per cominciare a diradare le nebbie che gravano sul sito etrusco, occorre fugare un grosso e persistente equivoco. L’ipogeo non è una tomba ellenistica e da esso nessuno ha estratto mai sarcofagi di nessun tipo. Ellenistiche sono ad esempio le tombe che accoglievano i sarcofagi della gens Curunas dislocate nelle vicinanze e venute fortunosamente alla luce negli anni ’60 e ’70 durante la ripulitura della necropoli, come ellenistica è la famosa Tomba François di Vulci scoperta dall’archeologo fiorentino nel 1857. Un confronto tra le planimetrie delle stesse e quella della Grotta della Regina non lascia dubbi in proposito. Quest’ultima presenta un lungo e ripido dromos d’ingresso che porta ad una camera centrale la cui volta era originariamente sostenuta da tre pilastri (oggi ne rimangono solo due). Da qui si dipartono, disposti su tre livelli, una trentina di cunicoli, uno dei quali funge da uscita. Molti cunicoli, dunque, alcuni inesplorati, tre livelli, due ingressi e oscurità completa, all’interno delle viscere della terra. L’indagine effettuata dal Gruppo Speleologico Emiliano nel 2001, infatti, non ha rilevato nelle pareti dei cunicoli nicchie per dislocarvi lucerne o torce. Tutto doveva rimanere nell’oscurità più completa. Le conclusioni dell’indagine sono stringenti: non vi sono elementi per pronunciarsi sulla sua funzione, anche se “la forma quasi perfettamente semicircolare dell’intero cunicolo (attorno alla camera centrale) farebbe pensare ad un uso rituale dello stesso”. In realtà gli elementi architettonici per pronunciarsi sulla sua funzione ci sono, eccome! I tre livelli richiamano la tripartizione del cosmo presente nella visione del mondo degli antichi, il labirinto simula le prove in cui è calata l’esistenza umana e l’oscurità totale è la situazione da cui liberarsi per avvicinarsi alla luce divina e accedere ad una rinascita interiore previa purificazione. Il luogo costituiva cioè un percorso iniziatico dove l’adepto attraverso il dromos si immergeva nelle viscere della terra, quasi un ritorno al grembo materno propedeutico ad una nuova nascita, e dopo le prove veniva restituito rigenerato al mondo, a cui ritornava dal secondo ingresso. Se è ragionevolmente agevole comprendere la funzione del monumento, le cose si complicano quando si voglia rispondere a due ineludibili domande: di quale divinità si praticava il culto misterico e in quali secoli? Una datazione molto elastica degli inizi ci potrebbe portare al VII secolo quando le emergenze archeologiche attestano per Tuscania una notevole fioritura. Le cose poi potrebbero aver subìto una evoluzione con la romanizzazione della Tuscia ed una inevitabile conclusione con il trionfo del Cristianesimo. Per la divinità che vi veniva venerata non dovremmo allontanarci dal vero indicando Artemide /Diana Nel Museo del Duomo di Viterbo, proveniente da Tuscania, è esposta una copia romana dell’Artemide di Efeso. Il luogo inoltre è indicato nei documenti altomedioevali come Valle di Diana e Vico Diano. Nelle immediate vicinanze sorge infine la chiesa rinascimentale della Madonna dell’Olivo che insiste su una preesistente cella tricora di probabile origine paleocristiana. La sostituzione di Artemide con la Madonna è congruente con la prassi del cristianesimo, come pure il richiamo all’olivo. Questa, nel paganesimo, era una pianta consacrata alla madre Terra e l’olio che se ne ricavava era essenziale per l’unzione prevista nei rituali di iniziazione. Un’idea di come avvenivano questi rituali ce la potremmo procurare da un passo di Plutarco (Fragmenta 168 Sandbach = Stobeo 4,52,49): “Al momento della morte l’anima prova un’esperienza simile a quella di coloro che sono iniziati ai misteri… All’inizio vagare smarriti, faticoso andare in cerchio, paurosi percorsi nel buio, che non conducono in alcun luogo. Prima della fine il timore, il brivido, il tremito, i sudori freddi e lo spavento sono al culmine. E poi una luce meravigliosa si offre agli occhi, si passa in luoghi puri e prati dove echeggiano suoni, dove si vedono danze, solenni sacre parole e visioni divine ispirano un rispetto religioso. E là l’iniziato, ormai perfettamente liberato e sciolto da ogni vincolo, si aggira, incoronato da una ghirlanda, celebrando la festa insieme agli altri consacrati e puri, e guarda dall’alto la folla non iniziata, non purificata nel fango e nelle tenebre e, per timore della morte, attardarsi fra i mali invece di credere nella felicità nell’aldilà.” E potremmo avere anche un’idea di questa folla non iniziata. Fino agli inizi degli anni ’70 si era conservata infatti in Tuscania una tradizione di chiara origine pagana, che il cristianesimo non era riuscito a cancellare. Mentre il lunedì di Pasqua la gente si recava nel vicino colle di San Pietro, sede di due splendide basiliche preomaniche, a consumare cibi pasquali, il pomeriggio successivo era la volta della Madonna dell’Olivo, dove ci si recava a piedi formando grandi gruppi. I giovani si distendevano poi a consumare ricche merende e a ballare nella spazio sottostante la Grotta della Regina, mentre gli adulti si fermavano nel soprastante pianoro. La Grotta della Regina di Tuscania era dunque un luogo iniziatico, erroneamente scambiato per Tomba dai viaggiatori inglesi dell’Ottocento che percorsero la Tuscia attratti dalle vestigia etrusche a piene mani presenti nel nostro territorio. Viaggiatori che non erano certo archeologi. George Dennis era giunto a Tuscania nel 1842 e ne aveva parlato scrivendo “la tomba più notevole si trova nei dirupi sotto la Madonna dell’Olivo, a circa un chilometro dalla città”. Ma Dennis era stato preceduto di quattro anni da una donna, la Hamilton Gray che così ricorda la visita: “Un po’ più avanti ci calammo tra le rocce e i rovi alla bocca di un sepolcro di gran lunga più importante, dalle proporzioni imponenti e assai singolari che è stato battezzato dai villici con il nome di Grotta della Regina” (Tuscania, a cura di G. Colonna, Siena 1986).  I due viaggiatori chiamarono l’ipogeo tomba, ma nella loro relazione non fecero cenno alcuno di sarcofagi. Di un solo sarcofago parla Secondiano Campanari nella sua opera sulla storia di Tuscania, in questi termini: “Nella parte sinistra della Grotta è un’apertura per donde entravasi in un’altra camera rasente a questa, che interrata tutta al di dentro non può dirsi qual forma s’abbia o qual dimensione. E qui coperti dalla terra scoscesa sono i resti di una urna che chiudeva un cadavere”. La Grotta della Regina è generalmente accomunata alla Cuccumella di Vulci e alla Tomba di Porsenna di Chiusi, ma sono accostamenti improponibili perché l’ipogeo tuscaniese rimane un unicum in tutta l’Etruria. Infatti, mentre la Tomba di Porsenna esiste solo nella penna di Plinio che ne tramanda una fantasiosa leggenda, la Cuccumella ha solo il labirinto che l’avvicina a Tuscania, essendo la sua struttura e la sua funzione radicalmente diverse. La Grotta della Regina, uno dei luoghi enigmatici che Tuscania custodisce, ci viene dai secoli avvolta nel buio. Ma il buio è costituito solo dai sarcofagi che si presume siano stati estratti dal sito: chi li ha visti mai, dove sono adesso e quali fonti ne parlano? E chi ha cancellato ogni traccia di questo luogo perché se ne perdesse la memoria? Questo solo è il mistero! Mario Tizi socio Archeotuscia

 
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