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Giochi... di Luna: poesia, danza e musica

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Vincenza Fava è riuscita a coinvolgere emotivamente il pubblico durante lo spettacolo teatrale Giochi…di luna rappresentato a Tuscania il 31 maggio scorso nel suggestivo ex-tempio di Santa Croce.Autrice ed interprete dei testi, ha dimostrato la capacità di saper unire sapientemente la poesia, la danza e la musica in una interazione costante tra le varie arti. Nello spettacolo si alternano momenti ludici, “giochi” appunto, in cui viene messa in evidenza la superficialità evidente dei nostri tempi, e momenti drammatici nella recitazione di poesie inedite o in danze simboliche. Dall’essenza della scrittura si arriva alla realtà della voce attraverso la celebrazione del corpo e della natura intesi come senso mistico della materia.Tra giochi di parole, brevi preludi lirici, e il movimento del corpo al ritmo penetrante della musica, ha inizio il viaggio nell’affascinante mondo della nuda parola associata ad una seducente carnalità ritmica. Afferma l’autrice: “Non esiste una distinzione netta tra ciò che sento e quello che vivo, le parole nascono dall’esperienza , dal contatto diretto con la vita e dai sentimenti autentici dell’esistenza: dolore e gioia, vita e morte, bianco e nero, voce e silenzio”.La danza invece diventa la pura espressione di un istinto innato per i movimenti corporei disegnati e improvvisati su note musicali variegate, classiche, rockeggianti e latine. All’ombra della luna, le atmosfere ludiche si alternano a situazioni drammatiche. La preghiera rivolta al cielo si tinge di arcobaleni fluorescenti: tutto diventa molteplice alla luce espansiva delle emozioni. I cristalli multiformi dell’anima si rifrangono donando la percezione dell’oltre metafisico. Non tutto quello che ci accade si può spiegare razionalmente. E l’amore è il punto di riferimento costante di una vita legata indissolubilmente al sentimento della morte in uno scenario ricco di metafore legate alla natura, al percorso esistenziale precario dell’essere umano diviso tra il riso e il pianto, la gioia e il dolore, l’amore e la paura di restare delusi e quindi di soffrire. Eppure è proprio il sentimento amoroso puro che ci dona l’intuizione della parte divina di ogni essere umano: “Angelo caduto./ Scolpito su pietre lunari./Abbandonato dal cielo./ Labbra vermiglie./ Ciocche d’oro. / Solitario e immenso sulla gelida neve…”.Cos’è l’uomo? Forse un angelo caduto, sembra suggerirci Vincenza Fava, un essere semi-divino che ha nostalgia delle sue radici celesti, di una luna che luminosa ed impavida assiste impassibile alle vicende umane spesso annichilite dal non senso delle nostre azioni. A volte arrivano segni dal cielo a consolare la vita umana: “Forze misteriose/ dal cielo cadenti/ luminosamente accese./ Punti indecifrabili./ Nell’oceano sprofondano./ E cancellano gli attimi dolenti”.Il tema della caduta ritorna spesso intonato come una melodia su un sottofondo musicale nostalgico, elegiaco e malinconico ad un tempo. I sentimenti umani sono al centro di ogni declamazione, sia che si tratti di dolore legato alla nascita o di gioia per l’esistenza del creato. Le contraddizioni convivono, non trovano soluzione perché il dubbio esistenziale resta, non cede un attimo a certezze filosofiche che potrebbero risollevare moralmente l’essere umano. Unico punto di riferimento rimane l’amore unito alla celebrazione mistica della natura come unica via d’uscita dall’impasse gnoseologico. Non mancano denunce amare nei confronti della società in cui si vive: “Tra le ecatombi della città etrusca/ per viltà sepolta/ le macerie risorgono/ come ombre feline. / L’incuranza sospesa dei passanti/ si oscura,/ dinanzi alla tua vivida memoria/ illusa e disillusa./ Divorata da ferite aliene./ Vuoto della tua assenza, / persa tra giorni pellegrini/ e serate tempestose/ di abbracci selvaggi…”.Si dimentica il passato, non si ha rispetto per la memoria, non si fa nulla, si aspetta e si delega sempre ad altri la responsabilità di ogni situazione civile. Amarezza e presa di coscienza di una comunità indifferente ai moti dell’anima, agli espressivi e sintomatici movimenti ritmici del corpo che dovrebbero trasportare l’essere umano verso i lidi ineffabili dell’essenza artistica. Ci si dilunga sulle questioni superficiali, ci si lascia coinvolgere eccessivamente da problemi estemporanei. Eppure l’uomo, a volte, nonostante il legame materiale che lo lega alla vita quotidiana, volge spesso lo sguardo al cielo, osserva il pianeta notturno, gli rivolge domande, vuole avere delle risposte per dare un senso profondamente e misteriosamente autentico alla propria vita divisa continuamente tra lo scorrere imperdonabile del tempo e l’anelito mistico verso un altrove indecifrabile identificato simbolicamente, metaforicamente con la Luna: “Oh! Luna!/ Ombrata, oscura e fatata/ riflessa, raggio vivo/ increspata,/ lievemente si fa mare./ Notturno d’autore./ Silenziosa armonia del firmamento/ protetta dal fato./ Profonde note dissetano il bianco./ Risponde all’eco/ l’assoluto e intatto nero dell’universo”.


 
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