Conclusioni. - Tartaglia-new

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Conclusioni.

Contratto di condotta
Il resto degli avvenimenti si può leggere negli ultimi paragrafi dell'Introduzione.

Qui non ci rimane da dire altro che l’amicizia del Tartaglia con i Senesi rimase immutata per tutto il tempo che egli visse: basti qui ricordare la conquista di Castiglione, quando il Tartaglia, il 10 febbraio 1419, inviò 100 cavalieri in aiuto di Siena[85]. Dal tenore delle lettere, che mi propongo di pubblicare prossimamente[86], sembra quasi che i Senesi seguissero affettuosamente il loro capitano nelle sue nuove avventure.
Ricordo ancora come in alcune lettere di fine di dicembre 1417, si rallegrarono con lui per la pace stipulata con lo Sforza, il 17 novembre 1417[87] (Si veda l'Introduzione, § 39), appena pochi giorni dopo che a Costanza s'era chiuso il sipario sul Grande Scisma d’Occidente ed il Sacro Collegio, l’11 novembre, aveva scelto come sommo pontefice unico della chiesa cattolica Oddone Colonna, che assumeva il nome di Martino V.

Il Tartaglia approfittò di questa tregua con lo Sforza per sposarsi per una seconda volta con Agnesella di Luca Monaldeschi della Cervara ed i Senesi vollero congratularsi con lui: il 1° gennaio 1418 gli inviarono a Tuscania tre ambasciatori della Signoria (Bartolomeo di messer Tommaso della Gazaia, Galduccio di ser Bartolomeo e Andreoccio di Bindo) con un bellissimo dono[88].
Tutto questo mentre Braccio correva tra Terni, Todi e Iesi e lo Sforza rientra a Napoli.
Ed i conti Orsini, Guido e Nicola?

Persero diversi luoghi, ma la contea rimase. Anzi, in seguito anche Sovana fu ripresa per un periodo (1431-1433) dai conti Orsini[89] e la contea resistette ancora per più di un secolo, prima di cadere definitivamente sotto la Repubblica di Siena. Analoga sorte, però, toccherà anche a quest'ultima, quando sarà sottomessa da Firenze nel 1559[90].

E che dire dell'atteggiamento del Tartaglia in questa guerra da lui praticamente non combattuta?
Ad un primo esame sommario verrebbe spontaneo dare un giudizio negativo sul comportamento del Tartaglia, abituati come siamo a vedere il Tartaglia correre, spostarsi con rapidità, colpire all'improvviso, insomma a combattere alla "Tartagliesca", sinonimo di rapidità e di capacità di soprendere e vincere il nemico in contropiede.

In realtà egli non merita un giudizio negativo nella condotta della guerra contro gli Orsini di Pitigliano. Bastano alcune considerazioni finali.
Anzitutto egli era appena reduce dalla clamorosa battaglia di S. Egidio (12 luglio 1416), a cui seguirono l'uccisione di Paolo Orsini (5 agosto) ed i combattimenti nella Teverina, culminati nella cattura del conte Nicola Orsini. Quindi si era ritirato a Tuscania apparentemente inoperoso (per un periodo di riposo, avranno pensato i Senesi!), ma in realtà era pronto ad intervenire al richiamo del suo amico Braccio, il cui ritorno dalle Marche era sicuro quanto imprevedibile. Con un occhio stava all'erta per un possibile attacco a sorpresa da parte dello Sforza, costantemente minaccioso contro di lui da Acquapendente; con l'altro occhio, invece, guardava a Roma, dove poteva accorrere da un momento all'altro ed essere coinvolto nelle trame che stavano tessendo i cardinali Isolani e Stefaneschi.

Vi lascio immaginare quali momenti di tensione vivesse il Tartaglia nello scorcio del 1416, quando incominciò a ricevere sempre più frequenti le ambascerie dei Senesi, che lo invitavano a trasferire le sue soldatesche sotto le mura di Pitigliano e Sorano, per determinarne la caduta in maniera rapida e risolutiva. Diceva di accettare, e certamente avrebbe voluto aiutare i Senesi, suoi amici fidati (cosa rara per quei tempi), e prendeva il denaro che gli offrivano, perché gliene occorreva continuamente per mantenere le sue lance inoperose a Tuscania, ma il vero problema era trovare l'occasione propizia per assentarsi. E' probabile che il tergiversare del Tartaglia sia dovuto anche alla consapevolezza che quei luoghi inaccessibili, Pitigliano e Sorano, non sarebbero mai stati espugnati con gli scarsi mezzi di cui disponevano i Senesi. Infine, quando si decise ad andare (finalmente!) al campo di Sorano, arrivò Braccio ed insieme con lui partì precipitosamente per l'avventura romana, poi miseramente fallita. Quando Tartaglia, il 26 agosto 1417, fuggì da Roma (braccato dallo Sforza) per raggiungere Tuscania poteva mai ricordarsi alla "condotta" dei Senesi? Anche se avesse voluto tornare al campo di Sorano, abbiamo visto che, proprio in quei giorni, il conte Guido aveva chiesto la pace e, ormai, le operazioni militari potevano dirsi concluse.

Credo che non ci sia bisogno di aggiungere altro per spiegare l'atteggiamento del Tartaglia durante la languida guerra dei Senesi contro gli Orsini di Pitigliano. Il Tartaglia mostrò, anche in quella circostanza, buone doti di temporeggiatore, ed il giudizio su di lui non può essere modificato: il "conte di Toscanella" rimane certamente una delle figure più rilevanti tra i grandi capitani di ventura dell'Italia centro-meridionale durante il Primo Quattrocento italiano. Gli è mancato solo un biografo contemporaneo che lo pubblicizzasse di più, come è avvenuto per Braccio e per lo Sforza. "Ebbe tanta virtù, ma gli è venuta meno la fortuna", avrebbe potuto dire di lui Machiavelli nel secolo successivo.
 
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