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23. Tartaglia e Beccarino di Brunoro collaborano con l’Isolani: 

Convegno > Paragrafo da 21 a 30

23. Tartaglia e Beccarino di Brunoro collaborano con l’Isolani: recupero di Corneto e Viterbo. Politica dell’Isolani.    
  
Anche il Tartaglia lo seguì poco dopo e, nel quadro di ciò che avevano progettato nei colloqui di Tuscania, si assunse il compito di ridurre in potere del legato pontificio il castello di Corneto con la collaborazione di un suo capitano assoldato di recente: Beccarino di Brunoro da Leonessa. Corneto s’era ribellata alla Chiesa quando Giovanni XXIII, come ricorderete, era fuggito da Roma per timore di Ladislao. Tartaglia e Beccarino, dunque entrarono a Corneto, la saccheggiarono ben bene, compiendo enormi atrocità, secondo l’usanza, e la obbligarono a venire a patti con il card. Isolani, portando molti prigionieri a Tuscania. La stessa sorte toccò, poi, a Viterbo, colpevole di essersi data a Ladislao. Corneto, il 1° gennaio 1515, e Viterbo, il 25 successivo, ricevettero il perdono del cardinale e vennero stipulati i capitoli di pace, che, per motivi di tempo, non illustro nei dettagli.

Ma quello che premeva di più al legato pontificio non era tanto il Tartaglia o i limitati problemi del Patrimonio.
Gli urgeva (soprattutto per l’ufficio di Legato che ricopriva) mettere in chiaro i rapporti della Chiesa con la Regina Giovanna II, tanto più che dal 15 luglio 1415, dopo la deposizione dei tre Papi (il 29 maggio venne deposto Giovanni XXIII; Gregorio XII, da Rimini, fece atto di rinuncia tramite il suo protettore Carlo Malatesti; più complessa fu la deposizione di Benedetto XIII, che ridottosi ostinatamente a Valenza, non volle mai accettare la deposizione pronunciata da Concilio il 26 luglio del 1417) venne invitato a mantenere la sua veste di legato nominato dal Concilio stesso, che lo esortava a svolgere tale ufficio fino all’elezione del nuovo pontefice e a rimediare a tutti i mali: ad esempio i Padri Conciliari (in una lettera del 24 luglio 1415) gli imponevano di redarguire il Tartaglia, intimandogli di indennizzare gli inermi abitanti di Foce, perché aveva assalito e depredato il loro castello, posto nel contado di Amelia, città sottoposta al Tartaglia e governata dal nipote Cristoforo da Lavello.    

 
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