Gli effetti dell'assedio a Pitigliano e a Sorano sono vanificati; nuovi appelli al Tartaglia - Tartaglia-new

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Gli effetti dell'assedio a Pitigliano e a Sorano sono vanificati; nuovi appelli al Tartaglia

Contratto di condotta
Tornando al nostro principale argomento, gli sviluppi della guerra non lasciavano intravedere un barlume di soluzione, anzi sembrava che tutto stesse andando a rotoli.

L’esercito senese era diviso in due: una parte assediava Sorano, l’altra parte Pitigliano. Accadeva spesso che i soldati assediati facessero delle sortite improvvise e distruggessero le opere militari che gli assediati stavano costruendo, anche con ferimento ed uccisioni di soldati dell'esercito senese[69].

I Priori della Signoria, indignatissimi, scrivevano lettere di fuoco a Ranuccio Farnese. In realtà Siena disponeva di pessimi combattenti, ma i sintomi più gravi, che stavano portando ad un evidente insuccesso, derivavano chiaramente dall’affluire continuo, libero e sfacciato dei rifornimenti che affluivano in Sorano e in Pitigliano, nonché dal moltiplicarsi delle scorrerie di nemici Orsini, addirittura in territorio senese[70].

La speranza di vedere gli abitanti delle due cittadine assediate ribellarsi per fame contro i conti Orsini svaniva ogni giorno di più: ingenti soccorsi di viveri provenivano quasi quotidianamente agli Orsini da Onano, da Proceno, da Acquapendente, da Montalto e da Castro. Sì, proprio da Castro, città soggetta alla signoria del Tartaglia, dove il Grasso di San Lupidio, suo suddito (in)fedele, continuava a fare ciò che voleva, disubbidendo agli ordini del Tartaglia suo signore. Avevano tempo i Priori della Signoria a lamentarsi con il "magnifico compare e fratello"! Eppure si lamentavano e, al tempo stesso, subivano con pazienza: grazie al comportamento equivoco del Grasso, del tuscanese Giovanni Gronde e di altri - lamentavano i Senesi - i nemici "hanno pubblico ricetto in Castro e di costì traggono i rifornimenti a loro necessari… e così salvano i loro animali; in tutte le cose hanno quella domestica conversazione che in casa loro"; ma il servilismo verso il Tartaglia era ormai tanto che essi concludevano le lettere quasi sempre scusandolo, adducendo la convinzione che egli fosse all’oscuro di tutto, e si auspicavano che gli abitanti di Castro modificassero il loro atteggiamento, ubbidendogli come si conveniva: "Per la qual cosa, la magnifica vostra fraternità, richiediamo et preghiamo instantemente che vi piaccia dare modo et provedendo con effecto che essi Grasso, Giovanni Gronde et qualunche altro de’ vostri s’astengano di tenere sì facti modi et che essa via da Castro sia al tutto chiusa et serrata a essi nostri inimici, sicché né in quel luogo né in altra vostra terra si receptino inimici né da lì possano avere alcun favore"[71].
In un’altra istanza accorata si legge: "...Piacciavi adunque, per Dio, risentirvi in modo che questo resto della nostra guerra non passi con tanta vergogna di nostro Comune, della quale ancho voi participate la parte vostra"[72].

Un'ennesima esortazione lascia capire che ogni preghiera era vana: "...Pregandovi et stregnendovi che ci voleste provedere, come si richiederà al vostro honore, et come, per scriptura et a boccha, ci avete promesso et risposto di voler fare. Ma ogni cosa, insino a qui, indarno è stata temptata; né pare che i vostri sudditi abbino facto cura d’avervi, come a loro signore, facto la obedientia et reverentia debita"[73]. E, al termine della medesima lettera, ancora un nuovo appello in cui sembra riaffiorare un barlume di speranza: "...Et però da capo vi preghiamo che voliate, una volta (per tutte), provedere con effecto, in modo che noi abbiamo motivo di rimanere più contenti et patienti nell’animo; che certo, in questo facto, non meno stimiamo l’onore di voi che l’utile nostro. Siamo certi che quando pure lo vorrete, monstrando il buono amore che ci portate, i vostri sudditi mutaranno proposito et costume".

E, infine, l’umiltà più strisciante in una lettera indirizzata agli abitanti di Castro, ma il suo contenuto era rivolto al Tartaglia: "… Sarèbbeci caro che (a tali inconvenienti) ci provedeste per l’avvenire; et, pur non facendolo, il sopporteremo con quella patientia che abbiamo avuto in fino a qui…"[74].

Naturalmente i Senesi se la prendevano anche con il capitano generale Ranuccio Farnese. Non abbiamo le lettere di risposta del Tartaglia, anche se ce le possiamo immaginare. Abbiamo, invece, l'occasione di leggere quelle di Ranuccio che, alla fine, rispose chiaro e tondo ai Priori della Signoria di essere stanco di ricevere soltanto dei rimproveri perché le cose non andavano per il verso giusto: se essi non lo volevano più alla testa dell'esercito senese, gli mandassero una lettera di licenziamento e lui se ne sarebbe andato a casa immediatamente! Ma la lettera di licenziamento non arrivò né per Ranuccio né tanto meno per il Tartaglia; anzi a Ranuccio arrivarono perfino le scuse, dal momento che si era tanto inquietato per quei rimproveri[75].
 
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