Il periodo etrusco - Toscanella - Storia di Tuscania

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Il periodo etrusco

I tre periodi

TUSCANIA ATTRAVERSO I SECOLI
di Giuseppe Giontella

IL PERIODO ETRUSCO (VIII - III sec. a.C.)

In epoca etrusca Tuscania è uno dei centri più significativi dell'Etruria meridionale interna. Fino agli anni Sessanta l'interesse per questa città è stato piuttosto marginale. Da qualche decennio, alcuni studiosi stanno dedicando la loro attenzione ai diversi aspetti, che l'Etruria meridionale interna presenta; di conseguenza, l'indagine sul peso, che ha avuto Tuscania in tale contesto, si fa sempre più accurata, grazie anche alla quantità e qualità dei reperti, che di tanto in tanto vengono in luce.

La «Scienza del Territorio» inserisce Tuscania nei percorsi di crinale tracciati dall'uomo primitivo in epoca preistorica. Tale scienza ipotizza un percorso di crinale da Monte Albano (Firenze) a Ponte Milvio (Roma) aperto dall'uomo preistorico durante il ciclo originario, essenzialmente nomadico e silvo-pastorale. Le diramazioni che si snodano da questo tracciato principale sono determinate dal corso dei fiumi minori, che ripartiscono l'Etruria in tre ampie zone (Etruria settentrionale, centrale e meridionale). Quest'ultima (la Tuscia) è frazionata per la presenza di tre corone di crinale, circondanti gli ex-crateri lacuali dei monti Volsini, Cimini e Sabatini. Con l'esaurimento del ciclo nomadico ha inizio il ciclo stanziale, distinto in quattro fasi di sviluppo dei percorsi e degli stanziamenti; nella seconda fase, dal sistema insediativo dei monti Volsini nascono i centri di promontorio lungo un anello che da Acquapendente porta a Tuscania attraverso i centri di Sorano, Pitigliano, Castro e Canino. Alla fine, nella quarta fase di sviluppo del ciclo stanziale, ha origine l'importante centro terminale esterno di Tarquinia. Come Tarquinia, tutte le grandi città etrusche (ciclo urbano) si formano ai margini dell'Organismo Territoriale Toscano (Cataldi) .

Campagne di scavo, relative alla preistoria ed alla protostoria, sono iniziate soltanto in questi ultimi anni. Per il passato abbiamo dei rinvenimenti sporadici, come quelli effettuati dai giovani del G.A.R., che portarono alla luce reperti paleolitici (punte di frecce, raschiatoi), durante la ripulitura della necropoli delle Scalette. Nelle estati 1986, 1987, 1988, 1989 e 1990, la «British School at Rome» ha condotto ricognizioni sul territorio di Tuscania.

Quasi dappertutto è stato rinvenuto materiale litico preistorico. Un sicuro insediamento (in contrada Pantacciano) è databile fra l'Età del Rame ed il Bronzo Antico (III millennio - prima metà del II millennio a.C.); due siti probabili sono in contrada Pian di Mola (Barker). Un frammento di ceramica Appenninica (1600-1300 a.C.), a pasta grigio-nera, all'interno nera, con decorazione a punteggio fitto, in fascia a contorno inciso, formante motivo a doppia angolatura, proviene dal colle di S. Pietro (Quilici Gigli), ai piedi del quale, nel maggio 1971, sono stati rinvenuti frammenti di ceramica Protovillanoviana (1150-900 a.C.): da questo periodo inizia la vita sull'acropoli di Tuscania, il cui nucleo abitato più antico è stato ipotizzato dal Niessen già nel 1902. In totale, i siti pre-etruschi segnalati finora dalla «British School at Rome», nel raggio di pochi chilometri intorno a Tuscania, sono 16 certi e 5 probabili.

Sembrerebbe che verso la fine dell'Età del Bronzo e durante il periodo Villanoviano (900-730 a.C.), si verifichi un abbandono dell'insediamento (come accade anche per altri Centri dell'Etruria meridionale interna), poiché i vari villaggi, spopolandosi, si vanno a concentrare in quelle sedi che diventeranno, poi, le grandi città etrusche (Veio, Caere, Tarquinia, Vulci, Volsinii (= Orvieto), ecc.). Un tale fenomeno (sinecismo) però non coinvolge, forse, Tuscania, sul cui territorio sono stati localizzati di recente ben due insediamenti villanoviani attraverso le ricognizioni della «British School»; anche sul colle di S. Pietro, nel settore nord-occidentale, si osservano dei fori, utilizzati per fissare i pali di una capanna villanoviana. Comunque sia, agli inizi del periodo Orientalizzante (730-570 a.C.) è possibile documentare a Tuscania un fervore di vita intensa. «L'urbanizzazione antica della zona - scrive il Cristofani - va infatti inserita in quel processo di ripopolamento databile nel corso dell'VIII sec. a.C., che porta al costituirsi di piccole città-stato, alcune delle quali, e in particolare Tuscania, posta nel cuore del sistema viario fra Vulci e Tarquinia, Caere e il lago di Bolsena, debbono essersi particolarmente ingrandite proprio per la posizione chiave di controllo che avevano sulle comunicazioni. E alla fine del VII secolo a.C. la stessa Tuscania non doveva essere differente da quel tipo di città C..) provviste della loro fortificazione, di santuari e di una struttura sociale avanzata». Il Pallottino aggiunge che per i centri dell'Etruria interna, come Tuscania, «si può pensare a comunità autonome», cioè indipendenti dai maggiori centri costieri: Caere, Tarquinia.e Vulci.
Lungo il corso, del VII sec. a.C. costituiscono una nota dominante le «tombe ogivali a fenditura superiore» (studiate da A. Akerstrom nel 1934 come tipiche dell'area tarquiniese). Nel descrivere tali tombe, la Quilici Gigli ne individua due tipi: uno a soffitto «ogivale» ed uno a soffitto «spioventi» (fig. 1); questo secondo tipo, a suo dire, sembrerebbe esclusivo di Tuscania. Il Colonna osserva che, data la notevole presenza in Tuscania delle «tombe ogivali a fenditura superiore» (fig. 2) (si possono visitare nelle necropoli di Ara del Tufo, delle Scalette, di Sasso Pizzuto, ecc.), sono facilmente deducibili «dei contatti con la grande metropoli costiera» di Tarquinia. A questo proposito, anche la Sgubini Moretti parla di «una fase iniziale di influenza tarquiniese» nei confronti di Tuscania.

Nell'Orientalizzante Recente (630-580 a.C.) e per tutto il periodo Arcaico (580-470 a.C.), Tuscania comincia ad apparire circondata da una fitta rete di insediamenti minori (Respàmpani, Cipollara, Collina d'Arcione, Arlena, San Giuliano e San Savino), che gravitano nell'orbita del signore-guerriero della città e che costituiscono veri e propri capisaldi delle strade dirette verso le più grandi metropoli etrusche.
L'importanza di Tuscania è rilevabile anche dalle numerose necropoli, che circondano letteralmente l'aggregato urbano ubicato sul colle di S. Pietro: esse sono dislocate lungo le direttrici viarie, che, uscendo a raggiera, conducono verso i centri limitrofi. Così abbiamo:
I.            lungo la via per Tarquinia:
1.  Carcarello VI sec. a.C. - I sec. a.C. (riutilizzazioni successive)
2.  Madonna dell'Olivo V-II sec. a.C.
3.  Ara del Tufo VII-V sec. a.C. (riutilizzazioni successive)
4.  San Giusto VII-III sec. a.C.
5.  Solfarate II sec. a.C.

II.        lungo la via per Norchia (futura via Clodia):
6.  Sasso Pizzuto VII-II sec. .a.C.
7.  Piantata IV-II sec. a.C.
8.  San Lazzaro VII-III sec. a.C.
9.  Doganelle IV-II sec. a.C.

III.    lungo la via per Ferento:
10.          Le Scalette VII-VI sec. a.C. (riutilizzazioni successive)
11.          Sughereto (Fioritella) III-II sec. a.C.

IV.      lungo la via per Marta:
12.          Pian di Mola VII - I sec. a.C.

V.          lungo la via per Bisenzo:
13.          La Peschiera VII-II sec. a.C.
14.          La Castelluzza VI-III sec. a.C. (riutilizzazioni successive)
15.          Le Ristrette III-I sec. a.C.

VI.      lungo la via per Vulci:
16.          Rosavecchia III-I sec. a.C.

VII.  tra la via tarquiniese e la via vulcente:
17.          Valvidone VII-II sec. a.C.

Nel VI sec. a.C., lungo il bacino idrografico del fosso Biedano, si accentra «una densità di popolazione quale è difficile incontrare in altre parti d'Etruria» (Colonna): ricordiamo i centri di San Giuliano, Blera, San Giovenale, Grotta Porcina e Cerracchio; così pure è densamente abitato il grande gomito dell’Alto Mignone (Monterano, Stigliano e Rota). Nel resto dell'Etruria interna gli insediamenti sono pochi e di scarso rilievo «ad eccezione di Tuscania, che grazie alla sua eccellente posizione sul Marta, a mezza strada tra Tarquinia e il gran lago, in questo periodo è assurta alla condizione di un centro urbano di primaria grandezza»; Colonna giustifica tale asserzione con «la estensione raggiunta già allora dalla sua necropoli, superiore a quella di qualsiasi altro centro dell'Etruria meridionale interna, Bisenzio compresa, e non di molto inferiore a quella delle altre città costiere». Anche Pallottino precisa come Tuscania, in epoca Arcaica, sia un «centro primario del retroterra tarquiniese, le cui necropoli rivelano un fiorente sviluppo» e più che con Tarquinia vanno confrontate con Caere. Le tombe a tumulo con tamburo circolare (fig. 3) della necropoli dell'Ara del Tufo «appaiono inconfondibilmente simili a coevi monumenti ceriti di cui ripetono, nell' assetto e organizzazione degli interni, le soluzioni e le decorazioni architettoniche» (Sgubini Moretti). Tale influsso, percepibile anche nei materiali di corredo delle tombe, si spiega con la posizione di Tuscania in una zona di transito.
«Nuovo in particolare è il concetto di una dipendenza economica da Caere, pur limitata all' epoca arcaica puntualizza il Colonna - tanto siamo abituati ad udire che la regione gravitava sotto tutti i riguardi, e non solo geograficamente (ciò che è incontestabile), sulla vicina Tarquinia». Il Torelli, riallacciandosi a queste considerazioni, pone in evidenza l'importanza che Caere viene acquisendo dalla fine del VII sec. a.C., creandosi a poco a poco un entroterra vasto ed accentrato: l'Etruria interna, compresa fra Tuscania e Acquarossa, «è al centro di un conflitto di influenze che ha per protagonisti Caere e Tarquinia, e che, per l'età arcaica, si direbbe risolto in linea di massima a favore» di Caere.
Naturalmente Tuscania risente dell'influsso tarquiniese (planimetrie di tombe, uso del columen in negativo, finta porta nella parete di fondo di una tomba, ecc.) (fig. 4); così pure recepisce i caratteri culturali di Vulci, attestati dalla presenza di ceramiche etrusco-corinzie e di anfore vinarie prodotte a Vulci; è, inoltre, documentata anche la cultura falisco-capenate con la caratteristica ceramica decorata ad incavo con motivi orientalizzanti; infine, è presente la cultura di Volsinii (= Orvieto), rappresentata da un' anfora del «Gruppo Orvietano»_
Come si vede, Tuscania appare «un centro culturale di primaria importanza ove, grazie alla particolare collocazione topografica, correnti culturali di varia provenienza convergono, vengono recepite, rielaborate e quindi trasmesse in nuove direzioni» (Sgubini Moretti).

Un altro aspetto da puntualizzare, per il VI sec. a.C., è l'inserimento di Tuscania tra i centri delle necropoli rupestri, tipici dell'Etruria meridionale interna. Le necropoli rupestri tuscanesi sono ubicate lungo i fiumi Marta e Maschiolo; tra queste ve ne sono alcune «a facciata rupestre»: non si tratta di tombe normali; «sono tombe scrive il Colonna - in cui la volontà del committente di conseguire un' affermazione di prestigio sociale è notevolmente più forte, tombe che assumono, assai più scopertamente di quanto non lascino già intendere i tumuli dell' età orientalizzante, il valore di monumento, nel senso latino del termine, con una proiezione all'esterno, verso i sopravvissuti, dei contenuti ideologici e religiosi che sono propri dell' architettura funeraria etrusca». Il fenomeno delle tombe rupestri del VI sec. a.C. evidenzia la ricchezza degli antichissimi centri dell'Etruria meridionale interna, che fungono da sfondo alla potenza delle grandi città costiere: Caere, Tarquinia e Vulci. I centri delle necropoli rupestri «appaiono in sostanza come partecipi della gestione degli scambi delle grandi città tra loro e verso l'interno dell'Italia in una posizione fino a prova contraria paritaria nei confronti delle grandi città, in cui dobbiamo giocoforza vedere accumulato il capitale che alimentava i commerci terrestri» (Colonna).

Tipiche di tali necropoli sono le «tombe a dado», la 'cui formazione si è avuta a Caere nel VII secolo; «le necropoli del Biedano costituiscono, com'è noto, il tramite per cui il tipo della tomba a dado ceretana si è propagato verso il nord» (Colonna), cioè verso Tuscania, fino ad Orvieto, «dove troviamo un intero sepolcreto, quello del Crocefisso del Tufo, pianificato nella seconda metà del VI secolo sulla base di questo tipo di edificio funerario» (Colonna). I due esempi di «tomba a dado» tuscanesi più importanti sono quella della necropoli della Peschiera (fig. 5) e quella, con portico tetrastilo, della necropoli di Pian di Mola (fig. 6); di fianco a quest'ultima stanno venendo alla luce altre due tombe a dado e, forse, ne verranno scoperte ancora lungo le pendici della valle del Maschiolo.
Prima di chiudere il discorso sul VI secolo, dobbiamo dedicare due parole ai numerosi frammenti di terrecotte architettoniche rinvenute nella necropoli dell' Ara del Tufo (lastre, sime, antefisse, parti di acroterio, di tegole di gronda dipinte): sembra che «debbano essere necessariamente riferite ad uno o più edifici»; i frammenti recuperati sono «quelli canonici nelle coperture di edifici, ma ove questi fossero ubicati e quali siano state le funzioni cui assolsero, sarebbero ipotesi a dir poco imprudenti»; se questi reperti possono riferirsi a dei sacelli (tenendo conto anche della varietà dei tipi architettonici attestati), ne deriva «in modo inoppugnabile un'intensa attività di maestranze specializzate operanti in loco, con riflessi facilmente ipotizzabili anche sullo
sviluppo dell' antico centro urbano» (Sgubini Moretti), sul colle di S. Pietro, dove, in uno scavo del 1982, venne trovato un frammento di terracotta architettonica. La maggior parte delle terrecotte recuperate presso la necropoli dell’Ara del Tufo appare «in buono stato di conservazione talora mantenendo cospicue tracce dell'originaria policromia. Il rilievo inoltre appare così fresco da far pensare che il periodo di utilizzazione (e quindi di esposizione alle intemperie) sia stato relativamente limitato. Si ha nel complesso l'impressione di essere di fronte ad un vero e proprio smantellamento di uno o più 'edifici, dovuto a cause per ora ignote» (Sgubini Moretti) (lt fig. 7). Alla fine del VI sec. a.C. «o poco dopo, dovette aver luogo la dispersione dei frammenti architettonici (...). Sembra di essere di fronte ad una nuova ed imponente testimonianza di quel noto, drammatico processo storico vissuto alla fine del VI sec. a.C. dai centri dell'Etruria meridionale interna» (Sgubini Moretti).
Tra la fine del VI e gli inizi del V sec. a.C. il Colonna ritiene che le città costiere dell'Etruria meridionale (e quelle della Valle tiberina) inizino «ad esercitare un controllo più intenso del retroterra, mirino alla costituzione di piccoli stati territoriali, al posto delle precedenti, politicamente blande, sfere d'influenza. Siamo nell'età di Porsenna e della sua avventurosa politica espansionistica nella valle del Tevere» (Colonna). Tarquinia si espande lungo la valle del fiume Marta, verso Tuscania, fino a Bisenzo e al lago di Bolsena: si nota un impoverimento di Tuscania, che subisce una stasi. La battaglia di Cuma (474 a.C.) segna la fine del dominio nel Tirreno. È possibile ipotizzare che, nel V sec. a.C., i Tuscanesi partecipino alle vicende di cui i Tarquiniesi sono protagonisti, come le imprese di Velthur Spurinna o la costituzione definitiva della Confederazione dei 12 (poi 15) Stati etruschi. La sottomissione del territorio di Tuscania da parte della potente Tarquinia può aver verificato l'improvviso smantellamento degli edifici situati nella necropoli dell' Ara del Tufo, rilevato dalla Sgubini Moretti.
Con l'inizio del IV sec. a.C. riemergono a Tuscania nuovi fermenti di vita. L'importanza della valle del Biedano e dell' Alta VaI Mignone viene meno (solo San Giuliano conserva una certa vitalità, che non va oltre il 111 sec. a.C.); ora «il baricentro dell'area si è manifestatamente spostato nel triangolo Tuscania-Norchia-Castel d'Asso, nucleo fiorente di un territorio sovrappopolato» (Colonna); emergono inoltre anche S. Giuliano, Ferento, Musarna e Blera, formando un fitto tessuto insediativo di centri quasi urbani «nei quali si sviluppa una stratificazione sociale molto simile a quella della metropoli, formata da famiglie nuove o derivate da antichi e grandi ceppi gentilizi tarquiniesi» (Torelli). Dalla metà del IV sec. a.C. si diffonde nell'architettura funeraria la tomba a camera unica con banchine e sarcofagi in pietra locale. Di solito si afferma che i sarcofagi di nenfro trovati nelle necropoli tuscanesi siano importati da Tarquinia. Il Moretti e la Sgubini Moretti, por non negando questa possibilità, affermano che «non sembra neppure doversi escludere che essi possano essere opera di maestranze tarquiniesi itineranti, che operavano su commissione». Questa ipotesi è avvalorata dal fatto che i sarcofagi tuscanesi di nenfro sono numerosissimi e presentano «precise scelte di soggetti ornamentali; inoltre la decorazione del sarcofago effettuata in funzione della sua ubicazione all'interno del sepolcro testimonia la necessaria presenza dell'artigiano a Tuscania». Quanto supposto non sembra contrastare, peraltro, con le testimonianze offerteci nella stessa Tuscania da altre sculture già note, quali la famosa «Lasa» (della tomba dei Vipinana nella necropoli del Carcarello) o il «Leone» (della tomba dei Nevznas nella necropoli di Valvidone), entrambi al museo Archeologico di Firenze; questi, con altri monumenti rinvenuti nell'area della necropoli di Madonna dell'Olivo, potrebbero documentare una fiorente attività di artigiani operanti in loco ed impegnati anche nella decorazione dei sepolcri (fig. 8).
Un discorso a parte meriterebbero (data l'abbondanza di reperti) le tombe della famiglia Curunas (
fig. 9) (il cui capostipite Vel Curunas è vissuto poco dopo la metà del IV sec. a.C.) e della famiglia Vipinana (il cui capostipite Sethre Vipinana è un po' più giovane di Vel Curunas). Altre famiglie di questo periodo, i Nevznas e gli Hermelu, sono scarsamente documentate.
Intorno al 320 a.C. l'egemonia sulla «Lega etrusca» passa da Tarquinia a Volsinii o a Perugia, e la città costiera perde ormai la sua potenza. Dopo la guerra di Roma contro l'Etruria (312-308 a.C.), alla quale Tarquinia non prende parte, si nota uno spostamento del ceto dirigente dalla città verso la campagna. I centri dell' entro terra cominciano a divenire autonomi; «non a caso questo momento critico per le grandi città è quello in cui i centri della campagna affermano il loro autogoverno: l'apparire frequente di iscrizioni magistratuali a Tuscania, Norchia, Bomarzo e fin nella piccola Musarna ne è la probabile prova, tanto più che esso si manifesta soltanto nell'Etruria meridionale, come contraccolpo al più duro impatto della politica romana nella regione», sostiene Colonna; il quale ritiene che la fuga dalla città verso la campagna (da Tarquinia verso Tuscania, nel nostro caso) «sia un fatto in un certo senso promosso, sollecitato da Roma», perché Roma», perché Roma teme le grandi città e ritiene più opportuno che l'aristocrazia risieda nelle campagne anziché nei centri urbani; gli aristocratici, lontani dalle beghe politiche della città, possono così condurre una vita anonima, ma economicamente agiata: questo benessere «credo che sia - afferma il Colonna - la controparte data da Roma alle aristocrazie locali, in cambio della salvaguardia di una certa linea politiéa».

Tra le più antiche iscrizioni magistratuali di Tuscania troviamo il «pretore edile» o «pretore maru» (zil marunuchva). Chi ci soccorre meglio nella conoscenza delle cariche etrusche è il «sarcofago del magistrato» (fine IV, secondo Torelli, inizio del 111 sec. a.C., secondo Pallottino ed Heurgon, mentre il Cristofani lo fa scendere al II) (fig. 10): il defunto, Arnth figlio di Laris e di Tanchvil Peslialch, ritto sul carro e accompagnato dai littori ha ricoperto le magistrature di «eisnev» (sacerdote), «eprthne»(pritano, cioè il più alto grado nel Collegio degli Zilath), «macstre» (magister: carica amministrativa e militare), nonché le cariche di «eznchval» (?) e di «tamera zelarvenas»(cioè duovir del Collegio dei Tamia: un collegio di due membri con carattere pubblico o sacrale; ai due titolari del collegio spettava il titolo di «tamera»).

Dal sarcofago di Vel figlio di Larth Atna (111 sec. a.C.) risulta che costui, oltre a «zil maruchva», è stato anche «cepta», carica ricollegabile al titolo sacerdotale «cepen». Quanto alla possibilità di esercitare più volte una medesima magistratura, la risposta è affermativa: Velthur figlio di Velthur Vipinana ha ricoperto la carica di zilath di Tuscania per ben undici volte (primi decenni del 111 sec. a.C.) (fig. 11). Nel corso di questo secolo conosciamo numerose famiglie gentilizie: i Flenchrinas, i Velisina (Velisna), i Ceise, gli Uple, i Treptie e gli Ancna.

 
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