2. Pacificazioni e tensioni nel patrimonio. - Toscanella - Storia di Tuscania

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2. Pacificazioni e tensioni nel patrimonio.

Il ritorno alla Chiesa

2. PACIFICAZIONI E TENSIONI NEL PATRIMONIO.
  
A poco a poco, anche le altre città caddero ad una ad una: Giovanni di Vico si arrese il 5 giugno; Orvieto cadde il l0, Viterbo il 12 luglio. Sottomesso il Patrimonio (con un perdono collettivo) l’Albornoz convocò un"Parlamento generale"  a  Montefiascone  per ratificare la pace, ormai accettata da tutti.
La Chiesa ripristinò i suoi diritti e le varie prerogative, ma alle singole comunità il Cardinale accortamente riconobbe quei privilegi, che rivendicavano e non volevano cedere a nessun costo.
  
Giovanni di Vico rimase signore di Corneto (la cosa al Papa non andò giù) e conservò i territori già posseduti dai suoi antenati.
  
Tuscania, dal canto suo, rivendicò tutti i suoi diritti; ma per la riscossione dell’imposta sul pedaggio delle merci e del bestiame in transito sul suo territorio, trovò ostacoli da parte della curia del Patrimonio. I Tuscanesi insistettero presso l’Albornoz, che, il 22 ottobre, scrisse al giudice del Comune,  Ghino da Siena, affinché compisse una ricerca nell’archivio tuscanese e gli preparasse una relazione sui diritti pretesi.
  
Ghino eseguì il lavoro alla perfezione: la sentenza dell’Albornoz fu favorevole al comune di Tuscania, che poté continuare a riscuotere i suoi pedaggi, senza l’interferenza dei funzionari del Patrimonio.
  
Prima di partire (7 gennaio 1355) per la "reconquista" dell’Umbria e delle Marche, l’Albornoz istituì un esercito cittadino composto di  pavesati  ebalestrieri.
I pavesati erano armati di una lunga spada e del pavese, un grande scudo rettangolare infisso a terra: disposti in lunga fila, costituivano un muro di protezione per i balestrieri, che, nascosti dietro di loro, avevano tutto il tempo di caricare l’arma micidiale e di mirare giusto, contro il nemico che avanzava, decimandolo. I pavesati, poi, completavano l’opera nel combattimento corpo a corpo.
  
Era un nuovo modo di combattere: la vecchia cavalleria feudale, prima invincibile, dovette soccombere di fronte a tale novità (si pensi alla battaglia di Grécy, del 1346, che aveva segnato la disfatta della cavalleria francese ad opera degli arcieri inglesi). In Roma tale milizia cittadina comparve nel 1358;  a Tuscania si trova già nel 1356, perfettamente funzionante.  
Partito l’Albornoz, la calma ritornò, ma Giovanni di Vico soffiava sempre sul fuoco, sperando in una rivincita, che non venne mai più.
  
A Tuscania, i suoi fautori,  Lucio Casella  e  Mancinasa, cercavano con ogni mezzo di sollevare il popolo.
  
Un giorno, agli inizi del 1356, il gonfaloniere e i tre anziani, per poter pagare una multa inflitta dal giudice del Patrimonio, raccoglievano un’imposta ripartita tra i cittadini, davanti al palazzo del Rivellino.  Lucio Casella  cominciò ad aizzare i presenti contro il gonfaloniere e i tre anziani gridando:  "Questi ufficiali sono la rovina della Città!". Nessuno si mosse. Lucio fu arrestato e condannato ad una salatissima multa.
  
Poco dopo, in marzo, il rettore e capitano del Patrimonio, Giordano Orsini, aveva mandato a Tuscania un notaio per effettuare il controllo periodico dei "pavesati e balestrieri", onde mantenerli continuamente in efficienza.
  
Mentre il notaio passava in rassegna i pavesati e i balestrieri schierati,  Mancinasa  cominciò a gridare contro il potere pontificio e rivolse parole di fuoco ai Tuscanesi, venuti a curiosare: "Or oltra, signori Toscanesi, noi anderemo alquanti sciagurati, e l’altri rimarranno qui: volemo più co’ la Chiesia de Roma? Oltre, sciagurati Toscanesi ov’è la iurisdictione nostra? Voi che potete, come lo sofferéte  [come fate a sopportare]  che ‘l notaro del capitanio vole le nòmora  [i nomi]  del pavesari et del balestrieri?". Dopo tali parole, piene di amarezza per la perdita totale dell’autonomia comunale, il Mancinasa fu preso e messo in prigione. La sentenza fu emanata il 14 agosto e lo condannò a pagare 30 fiorini d’oro.

 
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