8. Guitto Farnese, Vescovo di Orvieto - Toscanella - Storia di Tuscania

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8. Guitto Farnese, Vescovo di Orvieto

La sottomissione al Campidoglio

8. GUITTO FARNESE, VESCOVO DI ORVIETO, RETTORE DEL PATRIMONIO; RIPRESA DEL POTERE GHIBELLINO A TUSCANIA (1320).

Nel biennio in cui il rettore Guglielmo Costa governò il Patrimonio, Tuscania ed Orvieto, ormai alleate, lo aiutarono a riportare la pace, combattendo soprattutto il prefetto Manfredi di Vico, che da Viterbo compiva le sue scorrerie.

Ammalatosi il Costa (agosto 1319) Papa Giovanni XXII nominò "vicario" Guitto Farnese, vescovo d’Orvieto. Proprio agli inizi del vicariato di Guitto, Tuscania fu nuovamente sconvolta da lotte interne: scacciati i guelfi, i ghibellini ripresero il potere, ed è facile immaginare che vi riuscissero con l’aiuto dell’indomabile Guittuccio.

Contemporaneamente, il vicario Guitto era andato raccogliendo notizie ed aveva composto una relazione, con la quale intendeva mettere al corrente il Papa sul reale stato delle città e dei castelli del Patrimonio.

Nella relazione egli parla degli obblighi economici che ciascun comune dovrebbe rispettare; dice di chi paga e di chi non paga, a causa dei continui soprusi che il Campidoglio compie. Tra chi non paga c’è Tuscania.

"Questa città, scrive Guitto, appartiene alla Chiesa e dovrebbe esserle soggetta. Durante l’inverno essa ospitava [prima del 1300] la curia generale del Patrimonio, che, nei periodi di freddo più intenso, era solita trasferirsi là, da Montefiascone. Tuscania – afferma Guitto - pagava regolarmente le imposte della "tallia mititum", 80 libbre di denari, del "focatico", 160 libbre, e delle "procurazioni", 50 libbre[1]; così pure versava alla Camera Apostolica i proventi riscossi nelle cause civili e criminali, celebrate a Tuscania.

I Romani, però, al tempo di Bonifacio VIII (1300), mandarono un grande esercito contro la città; i Tuscanesi, costretti dalla violenza, si sottomisero e si obbligarono nei confronti del Campidoglio a pagare annualmente 1.000 libbre di tributo.
Da quell’anno, i Tuscanesi non solo non effettuarono più alla Chiesa i dovuti versamenti, ma, con l’appoggio del Campidoglio, essi arrecarono alla Curia e ai territori circostanti ogni sorta di danni e di offese; sono altezzosi e offrono ospitalità alle milizie capitoline, che fanno di Tuscania la base per le loro scorrerie.

Essa appare utilissima - prosegue Guitto - anzi, quasi necessaria alla vitalità del Patrimonio, perché è collocata proprio nel suo punto centrale, possiede un territorio fertile ed è più adatta del castello di Montefiascone per trascorrere l’inverno da parte del rettore e della sua curia.

I Tuscanesi, da parte loro, se potessero, si scrollerebbero di dosso tanto volentieri il giogo del Campidoglio, per tornare alla fedeltà alla Chiesa; ma lo farebbero solo a condizione che, poi, noi fossimo in grado di difenderli dalle inevitabili rappresaglie dei Romani.

Proprio in questi giorni - conclude Guitto - ho fatto convocare alcuni Tuscanesi, in gran segreto: si è parlato di come poter togliere la Città ai Romani; si è preparato un piano per aprire le porte della Città all’esercito della Chiesa, ma rimane difficoltosa, poi, la sua protezione contro le ire dei Romani, che, certamente, in breve tempo, la recupererebbero".

Questa è solo la parte della relazione che riguarda Tuscania; Guitto scriveva con lucidità e con reale conoscenza dei problemi. Pochi mesi dopo, il 2 giugno 1320, egli era nominato rettore effettivo.

[1] La "tallia militum" era l’imposta che ogni comune doveva pagare in base al contingente militare che era tenuto a mantenere (in caso di guerra si mandavano uomini, in pace si pagava tale imposta); il "focatico" corrispondeva all’imposta di famiglia, soppressa qualche anno fa; la "procurazione" era il dono in danaro (obbligatorio) che ciascun comune doveva versare "una tantum" al nuovo rettore del Patrimonio, quando entrava in carica.


 
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