Luigi Pica

Luigi Pica

 

 

Quando la casa dei nonni si chiude

(tratto da una riflessione che ho trovato interessante) 




“Uno dei momenti più tristi della nostra vita è quando la porta della casa dei nonni si chiude per sempre. Una volta chiusa quella porta non ci saranno più i pomeriggi felici con zii, cugini, nipoti, genitori fratelli e sorelle.
 
Ve lo ricordate? Non era necessario andare al ristorante la domenica. Si andava a casa dei nonni. A Natale la nonna bucava l’ozono con le sue fritture mentre il nonno si dedicava all’arrosto facendo puntualmente bruciare la canna fumaria.
La tavola era lunghissima e veniva apparecchiata nella stanza più grande. Adesso la casa è chiusa ed è rimasta soltanto la polvere. Un cartello vendesi. Nessuno la vuole quella casa. È vecchia. Va ristrutturata. Costa troppo. Ma che ne sapete di quanto vale la casa dei nonni. La casa dei nonni non ha un valore. E così passano gli anni. Non ci sono più regali da scartare. Frittate da mangiare. Verdure da pulire.
 
 
Quando la casa dei nonni si chiude ci ritroviamo adulti senza capire quando abbiamo smesso di essere bambini. Certo per i nonni saremo sempre piccoli e indifesi. Sempre. I nonni avevano sempre il caffè pronto. La pasta. Il vino. Le caramelle. Poi finisce tutto.
 
Non ci sono più le canzoni. Non si fa più la pasta fatta in casa. La nonna non friggerà più le patatine e io non potrò più rubarle di nascosto dal forno. Siete andati via troppo presto porca miseria. Io volevo fare la salsa ancora una volta. Il mirto. Le chiacchiere. E il liquore all’alloro. Io volevo ancora accatastare la legna con te nonno, anzi grazie per avermelo insegnato. E grazie per gli insegnamenti sulla vita. E sulla campagna. E sul giardinaggio.
 
Ora quando passo guardo quella casa e mi viene sempre l’abitudine di parcheggiare. E di buttare giù il campanello. E di sentire la nonna gridare che porco giuda non sono modi quelli. Scusa nonna. Non suonerò più il campanello. Al massimo quando mi capiterà di pensarvi di nuovo, come ora, canterò una canzone. Quella preferita dal nonno. Un amore così grande.
Luigi Pica

 

 

Il piatto burino

(da “Tuscania non c’è più” di Pericle Scriboni – 1977)


 
Una breve biografia diPericle Scriboni:
 
Pericle Scriboni è una figura importante nella storia di Tuscania, una città che si distingue per il suo grande numero di chiese, molte delle quali sono dedicate alla Vergine Maria. Tante di queste chiese sono state costruite con una devozione profonda e sincera. Ma chi era Pericle Scriboni?
 
Pericle Scriboni è stato un personaggio notevole, ma la sua storia non è così conosciuta come quella delle chiese che ha contribuito a rendere parte integrante della vita dei Tuscanesi. Tuttavia, possiamo scoprire alcune informazioni su di lui.
 
Scriboni è stato un membro attivo della comunità religiosa di Tuscania. Ha dedicato oltre cinquant’anni della sua vita alla venerazione della Madonna. La sua figura è stata così significativa che la sede sociale dell’Associazione degli Araldi è stata intitolata a lui. Gli Araldi sono un gruppo di persone devoti alla Madonna, e Scriboni ha svolto un ruolo importante in questa associazione.
 
Sebbene la storia di Pericle Scriboni non sia ampiamente documentata, la sua dedizione alla Vergine Maria e alla comunità di Tuscania è stata indubbiamente notevole. La sua influenza e il suo impegno sono stati riconosciuti attraverso l’intitolazione della sede sociale a lui.
 
Inoltre, vale la pena menzionare che Scriboni è anche l’autore di un libro intitolato “Tuscania non c’è più”, in cui ha documentato aspetti della vita e della cultura di Tuscania, compresi termini locali come “Birollo”, che un tempo indicava una pasta molto comune tra i Tuscanesi.
 
In sintesi, Pericle Scriboni è stato un cittadino devoto e un membro attivo della comunità religiosa di Tuscania, la cui influenza è ancora evidente oggi attraverso le chiese e le tradizioni della città. La sua storia, sebbene meno conosciuta, è parte integrante del tessuto culturale di Tuscania.
 
Luigi Pica
 
 
 
 
I cosidetti birolli
 

IL PIATTO BURINO – Non c’è più!! Quel concavo piatto di argilla colorato in verde, che fu contemporaneamente tavola e piatto di pastori, burini, butteri, taglialegna, è quasi scomparso. Fu il piatto dei poveri e come ogni povera cosa, dopo aver servito moltissimo è stato dimenticato ed oggi disprezzato.

 
Presso la cocceria del Zi’ Caco ne trovavi a cataste o lo vedevi esposto nell’umile vetrina, della piccola bottega dello Storto.
 
Fu un piatto a mille usi, che aveva l’arcano pregio di trasformare una volgare «acquacotta» in succulento primo, il quale si adattava alla preparazione di saporose «panzanelle» con pacche di freschi pomodori, o serviva per la deliziosa «canata». I bambini gracili di quel tempo, erano condotti nelle stalle ove si mungevano le mucche, per far loro mangiare nel piatto burino, fette di pane con latte appena munto.
 
Il piatto burino
 
Quanti rimpiangeranno un piatto burino colmo di fagioli con le fette e cotiche!! Questo piatto di povera gente non conobbe agnolotti, né pesce surgelato e tanto meno frutta sciroppata. Ospitò solamente cose genuine, pesce di fiume, legumi, erbe dei prati.
 
Ha seguìto i pastori nelle loro transumanze, fece bella mostra di se nelle capanne loro e dei carbonari, seguì i butteri nel loro quotidiano lavoro nei boschi, tra mandrie di bestie brade.
 
Sovente nei fontanili dei boschi, in quelli delle assolate piane, presso qualche rudimentale fontana in prossimità di sorgente, trovavi il piatto burino segno di umana presenza, di lavoratori nelle vicinanze.
 
Ora il piatto burino è solamente nei ricordi di vecchi, maciullato e distrutto dal progresso, relegato in qualche polverosa soffitta, tra cose inutili.
 
Luigi Pica