L’acquaforte

 

 

Una discussione tra amici..

Acquaforte

Il terremoto che colpì Tuscania la sera del 6 febbraio 1971 non ha distrutto soltanto il centro storico, ma ha sconvolto anche il modo di vita dei Tuscanesi, diverse loro tradizioni, molte consuetudini, i comportamenti in genere, dei quali si è persa o si va perdendo la memoria.
Per fortuna, però, i Tuscanesi amano spesso rievocare il passato, recuperare i ricordi della loro giovinezza (parlo dei più anziani), stando seduti attorno al tavolo di un bar o in un convegno familiare fra amici o intenti in qualche chiacchierata amichevole presso il “sedilone”, da dove si domina con lo sguardo l’intero giardino pubblico e la passeggiata “fuori porta”.
In questo clima, oltre a lasciarsi surriscaldare dalle discussioni di argomento sportivo, i componenti di un crocchio formatosi occasionalmente trovano anche dei motivi per criticare, e perché no? l’operato dell’Amministrazione comunale di turno, facendo a gara a mettere in risalto con una certa predilezione i numerosi difetti, le carenze, le iniziative che si potrebbero intraprendere e che invece rimangono lettera morta.


“E che t’ha fatto l’Acquaforte? Quelle che stanno ‘n Commune, nun ce potrebbero pensa’ a daje ‘na sistemata all’Acquaforte?” – gridò un giorno un componente di quell’improvvisato circolo, buttando là questa frase come un fulmine a ciel sereno, mentre s’alzava di scatto dal “sedilone”.
“Embèh! mo’ che c’entra l’Acquaforte? Che manco esiste più!” – gli replicò con tono alterato il suo interlocutore, perché, passando di palo in frasca, gli stava deviando improvvisamente il discorso, un accanito discorso già tutto avviato e concentrato su un’opera pubblica distrutta dal terremoto, ma ancora incompiuta per l’indifferenza di amministratori poco sensibili, secondo lui, ai problemi della ricostruzione.
“Sì! Propio l’Acquaforte! Ma nun ve ricordate ll’era bello, quanno, da fie, annàomo a fa’ ‘l bagno ne la pozza dell’Acquaforte e……..”. E così, quel giovane riuscì a deviare i suoi amici dall’argomento su cui stavano discutendo e a far riesumare tanto bene quel ricordo d’infanzia, che tutti dapprima rimasero silenziosi ad ascoltarlo, dimenticando la discussione dalla quale erano partiti, poi cominciarono ad intervenire, di tanto in tanto, con delle osservazioni personali, perché, in effetti, ciascuno aveva da aggiungere qualcosa di bello e di piacevole, mentre riaffioravano lentamente i ricordi delle gite spensierate all’Acquaforte.
Erano circa le tre del pomeriggio. Passavo di lì per caso con un amico: discutevamo su come mettere a punto un percorso caratteristico in bicicletta, da effettuarsi nella domenica successiva con i soci del nostro club “Tippetoppe Mountain Bike”.
Tra quegli uomini che discutevano animatamente, uno di nostra conoscenza ci chiamò con un cenno della mano per invitarci ad entrare nel merito della discussione ed esprimere la nostra opinione. Noi due dovemmo convenire con gli interlocutori sul fatto che molte, troppe realtà il terremoto aveva fatto scomparire, e che sarebbe stato certamente opportuno intraprendere qualche iniziativa per ripristinare l’efficienza dell’Acquaforte, nell’interesse delle due comunità: Tuscania e Marta. Tutti ricordavamo distintamente quando, da ragazzi, si andava all’Acquaforte (come diciamo noi Tuscanesi) o alle Buche (come dicono i Martani), prima a bere quell’acqua “che sapeva d’ova lésse”, poi a fare il bagno nella rudimentale piscina, ricavata qualche centinaio di metri a monte della sorgente, lungo il fosso dell’Acquarella, e mantenuta in efficienza dal Comune, ma più spesso da anonimi volontari.
Tutti avevamo ricordi a sufficienza per rievocare le qualità terapeutiche di quell’acqua quasi miracolosa, che ti faceva guarire in modo eccezionale sia le “bolle” che gli altri malanni dell’epidermide; e non si trattava soltanto di sciocche credenze popolari, perché spesso, ad ordinarti come terapia una serie di bagni all’Acquaforte, erano proprio i nostri medici di famiglia.
La storia di quell’acqua? Io la conoscevo abbastanza bene; anzi proprio in quei giorni, avevo avuto occasione di ritrovare diversi documenti sull’Acquaforte. In quel momento li portavo con me, dentro la mia inseparabile borsa; dissi che, se avevano piacere, potevo anche mostrarli e leggerli seduta stante, ma prima sarebbe stato opportuno conoscere qualche notizia su quell’acqua. Stimolati forse da una grande curiosità, non se lo fecero ripetere due volte, e mi invitarono a raccontare, mentre si disponevano tutti quanti a loro agio sul “sedilone”. Io, allora, cominciai così il mio racconto. Segue

 

Acque termali a Tuscania nell’antichità

Nell’antichità, almeno in epoca romana, Tuscania aveva le sue terme, come del resto era usanza a Roma ed in ogni “municipio romano” che si rispettasse; e Tuscania era divenuto un “municipio romano” fin dal 90 avanti Cristo.

Un bell’esempio di “terme romane” oggi si vede poco prima di iniziare la salita per S. Pietro. Purtroppo, una buona parte di queste (pubbliche o private che siano state, non ha importanza) furono sventrate quando venne costruita “strada nova” (come la chiamano ancora oggi gli anziani), cioè la strada che dal Comune scende verso Porta S. Leonardo (oggi demolita), si dirige verso S. Maria e, seguendo la circonvallazione delle mura castellane, giunge “fuori porta”. Progettata già nel 1915, i lavori per quella strada continuarono nel 1916 fino al 1918, utilizzando i prigionieri austro-ungarici, assegnati a Tuscania durante la Grande Guerra. Con questi ed altri operai locali il Comune fece spianare il dosso (erano le terme romane!) che impediva di recarsi agevolmente verso S. Maria.


Tutti conoscete quei ruderi, da qualche anno recintati, illuminati e curati dalla Soprintendenza per L’Etruria Meridionale. Scendendo, a destra sulla curva, rimane parte della vasca del calidarium, sopraelevata e sostenuta da alcune colonnine di nenfro (le cosiddette suspensurae), tra le quali era convogliata l’aria calda che riscaldava l’acqua della vasca soprastante. Il pavimento del calidarium era a mosaico, con tessere bianche e nere. Quando ero ragazzo, si scorgevano ancora consistenti tracce di quel mosaico: ricordo un bel delfino, che oggi si può ammirare solo in vecchie foto, perché è stato asportato a cura di qualche maniaco collezionista di antichità. Scendendo ancora verso S. Maria, sull’altro lato della strada, forse un giorno si potrà ritrovare la continuazione del pavimento in mosaico, sotto lo spesso strato di terra che certamente l’ha protetto per tanti secoli e l’ha salvato dal sicuro saccheggio dei clandestini[1].
Ma il fatto più importante è che queste non erano le uniche terme esistenti a Tuscania.

La Città allora si estendeva nell’aera compresa nell’asse dei colli S. Pietro- Rivellino e già tendeva a svilupparsi verso il quartiere di Poggio (mentre verso S. Marco, la Rosa, S. Silvestro e le Monache non esistevano ancora abitazioni). Una via abbastanza transitata doveva essere quella di fondovalle, che risalendo il corso del Maschialo conduceva fino all’Acquarella, dove predominava il fresco verde degli orti, che procuravano verdure e frutta in abbondanza, tanto da essere chiamata nei documenti medievali “Valle dell’Oro” o “Valle Aurana”.
Ebbene, è quasi naturale pensare che risalendo il Maschiolo-Acquarella[2], i Tuscanesi vi possano aver costruito dei bagni (pubblici o privati, non saprei dire), utilizzando proprio l’Acquaforte. Documentazione diretta non ve n’è, ma la loro esistenza si può dedurre dalla lettura di un volume manoscritto della seconda metà del Cinquecento. Segue

 

La notizia più antica sull’Acquaforte

Mi riferisco a Francesco Giannotti ed suo noto volume, terminato intorno al 1590, citato con titoli diversi, sebbene quello originale sia Breve e compendioso discorso dell’antichità di Toscanella[3], dove ci racconta che alcuni anni prima (l’anno non è precisato, ma si può supporre al massimo una quarantina d’anni prima, quindi verso la metà del Cinquecento) il Moretto, che di mestiere faceva l’allevatore di Cavalli, mentre stava a San Savino, nei pressi dell’Acquaforte, ebbe modo di entrare in un vano sotterraneo, in un bagno molto antico, non meglio specificato: veramente doveva trattarsi non di un vano adibito ai bagni veri e propri, ma di una stanza di servizio, perché lì, agli occhi del Moretto apparve come d’incanto una grandissima quantità (circa 20 staia!) di monete di bronzo, con l’effigie di Giano Bifronte nel recto e la prora di una nave nel verso[4]. Francesco Giannotti afferma di aver sentito raccontare il fatto da Sallustio, il figlio maggiore del Moretto[5], ma non si sofferma in commenti; aggiunge soltanto che nel territorio di Tuscania era facilissimo imbattersi in ritrovamenti del genere, come vasi (etruschi?), mura ad opus reticulatum e condutture di piombo, che servivano a far circolare l’acqua all’interno dei bagni[6].


In verità una campagna di scavo nei pressi dell’Acquaforte non è mai stata effettuata; l’unica notizia è che sull’altopiano (dove nel Medioevo sorgeranno prima l’abbazia cistercense di S. Savino, poi il Castello) vi sono i resti di una villa romana, con frammenti di vasellame, databile tra il I secolo a. C. e l’inizio del II secolo d. C.[7]; tutto ciò sta ovviamente ad indicare, già in epoca romana, la presenza di un centro abitato nelle vicinanze dell’Acquaforte.
Mi fa meraviglia, però, che uno storico come il Giannotti, che nella sua opera esalta Tuscania anche per cose di poco conto, non si soffermi a parlare dell’Acquaforte di S. Savino. Ritengo che non lo faccia forse perché, verso la fine del Cinquecento, i Tuscanesi la frequentavano poco, per motivi diversi: anzitutto è probabile che la strada fosse divenuta impraticabile, poi, dai documenti dell’archivio di quel tempo, traspare la tendenza dei Tuscanesi ad interessarsi maggiormente alle cure idropiniche con l’acqua diuretica della fontanella di S. Angelo, molto apprezzata anche dai vescovi locali, dai governatori forestieri, come i commissari di giustizia, che mandavano i loro inservienti con i muli carichi di barili a prelevarla[8]. Segue

 

La manutenzione nel XVII secolo

Comunque sia, l’abbandono dell’Acquaforte tra il XVI e l’inizio del XVII secolo è tanto evidente che le autorità comunali, alla fine dell’estate 1624, cercarono di correre ai ripari. È probabile che il Gonfaloniere del Popolo in carica, Mario Giannotti, e l’Anziano, Alessandro Fioravanti, abbiano cercato con ogni mezzo di riattivare la sorgente e ripulire la vasca dell’Acquaforte, magari anche dietro insistenza di persone interessate alla cura della pelle (si diceva che curasse soprattutto la rogna ed altre malattie), ma loro, da soli, non riuscirono ad ottenere alcun risultato concreto. Ormai la vasca era completamente interrata, proprio come lo è oggi.
Allora i due priori comunali decisero di sottoporre il problema all’attenzione del Consiglio Generale, e lo inserirono nell’ottavo punto all’o.d.g. della seduta consiliare prevista per il 24 settembre 1624. Ecco come essi formularono la proposta:
“8: havemo nel nostro tenimento, nella bandita di S. Savino, un’acqua minerale buonissima contro la rogna et altr’infirmità; nè si può godere, per essere riplena di terreno et altro, che con poca spesa si ridurrìa in stato da potersene servire comodamente”[9].

Manco a dirlo che la proposta venne approvata all’unanimità e si incaricarono i Priori, coadiuvati da due consiglieri appartenenti alla nobiltà locale, Marcantonio Giannotti ed il Capitano Fabrizio Pocci, affinché provvedessero a far ripristinare la vasca e la sorgente, dal momento che la somma necessaria non era poi molto rilevante. Siccome, a quei tempi, le casse del Comune erano perennemente vuote, per pagare gli operai essi vennero autorizzati ad attingere ai proventi derivanti dalla gabella che i cacciatori di uccelli (ucellatura) versavano al gabelliere appaltatore.[10].
Viene da pensare che i Priori, ma soprattutto i consiglieri Marcantonio Giannotti e Fabrizio Pocci abbiano fatto un ottimo lavoro, perché nei secoli successivi non ho più trovato lamentele sul funzionamento dell’Acquaforte: se, in séguito, si fossero verificati dei problemi, avremmo trovato certamente qualche riscontro nelle carte dell’Archivio comunale. Segue

 

Utilizzazione dell’Acquaforte nell’Ottocento

Fino alla metà dell’Ottocento non si rintraccia più alcuna documentazione sull’Acquaforte; non posso, però, passare sotto silenzio una menzione assai significativa.
Intorno agli anni Quaranta di quel secolo, l’Avv. Secondiano Campanari iniziava a scrivere il noto volume “Tuscania e i suoi monumenti”, che, poco dopo la sua morte (1855), fu pubblicato dalla tipografia del seminario Montefiascone (1856). Verso la fine della “Parte Prima” (Epoca Etrusca), dopo aver trattato delle antiche vestigia monumentali dell’acropoli di S. Pietro, il Campanari passa a parlare dell’acqua delle Sette Cannelle, quindi ipotizza l’esistenza di “terme romane” vicino la chiesa di S. Maria per certi ruderi che aveva intravisto, poi fa un riferimento all’Acquaforte di S. Savino come ad un’acqua che i Tuscanesi usano abitualmente per curare le malattie epidermiche, infine descrive i resti degli antichi acquedotti e conclude il suo discorso su una sua ipotesi relativa all’ubicazione del “teatro romano” (mai trovato). Vi leggo che cosa dice testualmente, pregandovi di fare attenzione alla parte da me sottolineata[11]:

“…Né quell’antico acquidotto che si ha dentro la città, né il ricettacolo pur delle acque, che sgorgono dai sette doccioni, donde prese oggi il nome quella fonte di Sette Cannelle, sono manco opera di etruschi artefici, tutto che ristorati a’ tempi romani e di mezzo [cioè nell’età medievale], e che per correre di secoli si tengono ancora nell’esser loro a vergognare que’ moderni artificelli di sottili o arrendevoli acquidocci, che, basta appena un po’ di acqua, li vedi rotti e sdruciti. Anche dai ruderi, che trovammo sotterra costrutti sotto la superficie di muro romano, vicino dell’antica chiesa di S. Maria, può bene argomentarsi che una “terma” quivi esistesse alla epoca etrusca, ristorata poscia ed ampliata a’ tempi dell’imperio[12]. Cotesta “terma”, che sembra collegarsi in una unità di fabbrica con quella parte che si estende presso il tempio di S. Pietro, è così ampia e spaziosa che sarìa capace di contenere [i bagnanti di] una città di non mediocre grandezza. Io non credo che gli etruschi tuscanesi, i quali molto usavano a’ bagni, non mostrassero di avere in quel pregio, in che le abbiamo pur noi, quelle tiepide acque solfuree e minerali, che surgono di vena, poche miglia di lungi alla città[13]; nè il trovarvi oggi segni, o avanzi di tubi, di condotti, di muri, mi cava dal capo che volessero perdere tanto giovamento e guadagno, sapendo come gli antichi pigliassero a condurre queste salutari e dilettevoli acque per canali murati da luoghi anche lontani, se avara fu loro natura nel luogo natio di sì gran beneficio…”.
Come si nota, è considerevole l’apprezzamento del Campanari sul valore terapeutico dell’Acquaforte di S. Savino, anche perché subito dopo aggiunge questa interessantissima nota, che vi ora leggo:
“Costantino Santi nostro dottore di medicina, morto pochi anni sono, scriveva intorno alla bontà di queste acque sì fatte parole:
“Giace nella tenuta di S. Savino in questo territorio, in un circuito di terreno detto le Buche, una sorgente d’acqua minerale, la quale scaturisce in un catino posto a mezzogiorno, pochissimi passi lontano dal torrente Acquarella, ove radùnansi in gran copia; e, col suo piacevole gorgoglìo, pare che inviti l’egro a tuffàrvisi per risanarsi. Era questo catino circondato da ogni parte di frondosi alberi e verdi cespugli, che servivano a riparare dai cocenti raggi del sole chi vi s’immergeva. Il suolo è vulcanico, e nelle rupi e nei colli e nella valle trova il naturalista ove pascere la sua curiosità; e tutto gli richiama alla fantasia il grande vulcano che vi ha una volta mostrato la sua possanza.(Quindi il dott. Santi passa ora ad analizzare l’acqua).
L’acqua è di una tal limpidezza che, quantunque si faccia innalzare al di sopra dei quattro o cinque piedi, non inipedisce affatto la vista di piccoli corpicciuoli che giacciono nel fondo del suo recipiente. Il calore di quest’acqua, da me esaminato in diverse stagioni ed in varie ore del giorno, è sempre circa i 23 del termometro di R(eaumur)[14], per cui può giustamente semi-termale appellarsi. Dal suo gorgoglìo si esala un odore di uovo sodo che non fa dubitare della presenza del gas idrogeno-sosfarato. Il sapore è acidetto stittico, e la impressione piccante che fa sulla pelle, pochi minuti dopo che vi si è uno immerso, nonché l’arrossimento della medesima dà a vedere che contiene un acido in dissoluzione; e questo, se non erro, è il solforico. La deposizione biancastra alle sponde e nei corpi che vi stanno immersi indicano che contiene del carbonato e del solfato calcareo. I funghi cinerei ricoperti di una sottilissima patina di un bel verde smeraldo, e questa patina medesima galleggiante sull’acqua giacente vi dànno a conoscere il solfato di ferro. Le arene, che in gran quantità portano i suoi zampilli, sono silicee unite per due terzi almeno al così detto polverino negro attraibile dalla calamita; da cui deduco che quest’acqua percorre un grande strato siliceo ed una miniera di ferro. Posso poi assicurare, che nel corso di circa tredici anni che la conosco e che ne faccio far uso interno, ne ho veduto i prodigiosi effetti nelle fisconie, nelle clorosi, nei fiori bianchi e nelle lenti flogosi intestinali. Non dico nulla dell’uso esterno, giacché sempre questa popolazione vi ha trovato prontissimo rimedio in qualunque specie di malattia cutanea, e gl’ipocondriaci e le isteriche vi trovano i più salutari effetti”[15]
Così termina la dettagliata relazione del dott. Costantino Santi.
L’editore del volume, il montefiasconese Ulderico Sartini, in fase di stampa aggiunse questa nota (Secondiano Campanari era già morto, come ho già rilevato):
“Speriamo di poter dare al fine del presente volume l’analisi chimica, che si sta ora eseguendo, di questa e di altre acque, sulfuree e marziali del territorio toscanese. Nota dell’editore”[16].
Ma, alla fine del volume non è riportata alcuna analisi chimica. Ho fatto altre ricerche fra le carte dell’Archivio comunale di Tuscania, senza alcun risultato. Speriamo che qualcuno, oggi, si possa prendere la briga di far analizzare quest’acqua. Segue

 

La sorgente appartiene al territorio di Tuscania

La sorgente appartiene al territorio di Tuscania
Non c’è dubbio che i diritti sulla sorgente e sul suo uso siano stati in ogni tempo riconosciuti al Comune di Tuscania, ma per quanto riguarda la proprietà del territorio circostante bisogna aprire una parentesi, che ci farà deviare per un momento dall’argomento principale del nostro discorso.


La tenuta agricola di S. Savino è sempre stata compresa, e lo è ancora oggi, nel territorio di Tuscania, ma i proprietari degli appezzamenti di terra oggi sono quasi tutti Martani.
Sulle origini dell’Abbazia conosco soltanto quelle poche notizie che il prof. Luttrell ha raccolto nel suo lavoro, che ho già citato. Le notizie più antiche risalgono al XII secolo, ma poiché i monaci erano pochi, cadde presto nell’abbandono, verso gli inizi del Duecento, mentre la chiesa continuò ad essere aperta al culto per diverso tempo ancora.
Sul pianoro il Comune di Tuscania fece costruire (prima del 1263) un Castello[17] allo scopo di difendere la strada che da Tuscania conduceva a Marta. Doveva essere magnifico quel castello che si ergeva sulla rupe lungo la quale degradava un folto bosco di sughere, che ancora si possono ammirare.
Verso gli ultimi decenni del secolo, l’Ordine dei Templari, che già possedeva Castell’Araldo nei pressi di Marta, riuscì ad ottenere anche il castello di S. Savino, ma non saprei dire a quale titolo i Templari l’avessero ricevuto. Fatto sta che essi, verso 1il 1298, oltre a S. Savino possedevano dei beni anche nella stessa Tuscania, e precisamente la chiesa di S. Leonardo (assai ricca di immobili) e la chiesa di S. Antonio (fuori porta).
Quando l’Ordine dei Templari venne soppresso (1312), il castello e la tenuta di San Savino passarono di volta in volta sotto diversi padroni, ma non sto ora a raccontarvi la lunghissima e talvolta complicata sua storia: chi vuole, se la può leggere utilizzando i testi che propongo in nota[18].

Basti dire che, confiscata ai Templari, la tenuta di S. Savino fu dapprima preda di diversi signorotti, poi il Papa la donò (1369) al capitolo della cattedrale di Montefiascone; infine, saltando a pie’ pari un racconto che abbraccia diversi secoli, la donò (nel 1806) al Sacro Collegio dei Cardinali, i quali la sfruttavano concedendola in affitto. La tenuta aveva un’estensione di circa 1600 ettari.
Dopo l’unità d’Italia, venne emanata una legge[19] in base alla quale il Sacro Collegio, essendo proprietario di S. Savino, riteneva di poter estromettere gli enfiteuti, cioè i Martani, che vantavano di lavorare come contadini quelle terre fin dal XIV secolo, senza soluzione di continuità. Così il Sacro Collegio il 7 dicembre 1892 iniziò (come attore) il processo, citando davanti alla “Giunta degli Arbitri di Viterbo” (come convenuti) i Martani, i Tuscanesi (che godevano nella tenuta di S. Savino un diritto di pascolo per il bestiame grosso limitato al periodo estivo e in certe porzioni di territorio) nonché alcuni privati.
La causa durò 15 anni. Alla fine (con sentenza della “Giunta degli Arbitri” del 27 gennaio 1907) contro le pretese della parte attrice vinsero invece i Martani, cioè gli enfiteuti convenuti, che ottennero l’affrancazione con la piena proprietà delle terre, perché dimostrarono di averle lavorate ininterrottamente per secoli. Oltre ai Cardinali, anche i Tuscanesi vennero estromessi dal loro diritto di pascolo estivo, ma, per tale perdita, i Tuscanesi ricevettero 88 ettari di terra e la somma, una tantum, di lire 34.506 (cioè 17, 82 € appena!).
Nelle conclusioni, presentate nelle fasi finali del processo, il Comune di Tuscania rivolse un invito alla “Giunta degli Arbitri” affinché, al momento conclusivo, tenesse conto dei diritti dei Tuscanesi sia sulla sorgente dell’acqua termale, che sulla strada per eccedervi.
Nel dispositivo della sentenza i giudici non negarono questo diritto, ma dichiararono semplicemente che esprimersi su questa questione esulava dalle loro competenze. Pertanto i Tuscanesi continuarono ad esercitare un diritto, che nessuno aveva mai contestato, essendo la sorgente ubicata nel loro territorio. Pertanto il Comune di Tuscania provvedeva annualmente ai lavori di spurgo e di protezione di quel bagno. Fino alla Prima Guerra Mondiale non abbiamo più notizie. Segue

 

 

Fra le due guerre mondiali: articoli di giornale

Parlò dell’Acquaforte il segretario comunale Giuseppe Cerasa in un suo libro, dedicato alle fontane di Tuscania e pubblicato alla vigilia della guerra, nel 1914, dal quale si desume che l’uso della sorgente e della vasca per i bagni, il transito per accedervi ed i lavori di manutenzione si effettuavano regolarmente senza alcuna contestazione[20].
Arriviamo, così alla primavera del 1922. In quel periodo si rileva qualche bisticcio tra Tuscanesi e Martani per il diritto di transito, almeno così sembra trasparire dall’articolo che ora vi leggerò. Uscì sulle pagine del quotidiano “Il Messaggero” del 22 marzo 1922. L’anonimo autore (forse Giuseppe Cerasa?) sintetizzava brevemente nell’articolo le vicende dell’Acquaforte, puntualizzando l’affezione e la costanza con cui i Tuscanesi si servivano di quell’acqua; faceva cenno ad alcune diatribe insorte fra i Martani, proprietari del terreno, ed i Tuscanesi che si recavano a fare il bagno; ed, infine, invitava l’Amministrazione ad essere più solerte nella pulizia della vasca, che lasciava in quel periodo un po’ a desiderare:
 
“TUSCANIA, 21
Fra le varie tenute del nostro territorio è nota, se non per estensione, per importanza di ricchezze naturali, la tenuta di S. Savino. Dista appena 4 chilometri dalla città. Fu di proprietà anticamente della Camera Apostolica poi del Sacro Collegio dei Cardinali, con servitù e diritti di semina dei Martani e a diritti di pascolo estivo promiscuo fra i Tuscanesi e i Martani. E’ attraversata dal fiume Marta e, sulle sponde del medesimo, abbiamo entro la tenuta tre grandissimi stabilimenti di produzione di energia elettrica. In San Savino è quella copiosa sorgente di acqua potabile purissima, che fin dai primi del ‘600, alimenta le pubbliche, monumentali nostre fontane; e, con ricchezza di distribuzione, trovasi in quasi tutte le nostre case di abitazione e rende produttivi gli ubertosi orti.
Anche in San Savino, è la sorgente di acqua potabile che va a Tarquinia e fino alla stazione ferroviaria di Civitavecchia. Ma un’altra cosa importantissima abbiamo in S. Savino. Là esistono varie sorgenti di acque minerali, ed una sorgente di acqua termale solfurea formante l’antico “bagno” dei cittadini di Tuscania. Da “ab immemorabili”, ivi, i Tuscanesi ebbero le loro terme. E noi leggiamo in un verbale del consiglio comunale del 21 settembre 1624 fra l’altro: “Havemo nel nostro territorio nella bandita di S. Savino un’acqua buonissima contro le malattie della pelle et altre infermità, etc… e si delibera ridurre il bagno di S. Savino in migliore stato, etc”.
E nei secoli, ininterrottamente, in modo continuo, la popolazione tuscanese si servi di quelle acque minerali, di quel bagno termale. E il Comune ogni anno vi fece i lavori di riparazione e di protezione necessari. Anni addietro il comune di Marta, valendosi dei suoi diritti civici nella tenuta chiese, in confronto del Sacro Collegio del Cardinali, la proprietà della tenuta. E, nella causa, fu chiamato anche il comune di Tuscania. La Giunta, con sentenza del 27 gennaio 1907, assegnò ettari 88 della Tenuta a Tuscania, e la rimanente parte, con l’assegno di un corrispettivo al Sacro Collegio dei Cardinali, fu assegnata in piena proprietà al Comune di Marta.
Il Comune, nelle sue conclusioni, fra l’altro, aveva anche domandato: dovessero restar ferme, o, per lo meno, dichiararsi riservate le ragioni di Tuscania nella tenuta stessa dell’uso pubblico della sorgente dell’acqua termale e della strada per la quale ad essa si accede. E la Giunta, naturalmente, dichiarò sfuggire alle proprie attribuzioni il giudicare sulla domanda, perché venisse continuata la servitù di accesso e di uso delle acque termali e minerali della tenuta di S. Savino per parte della popolazione tuscanese. Dal 1907 la popolazione tuscanese continuò, come continua, a rimanere in possesso di quelle acque; e a servirsene. Il Comune continuò, annualmente, a provvedere ai lavori di spurgo e di protezione di quel bagno. Senonché or sono due anni i lavori sono mancati; e la popolazione si è servita del bagno, benché divenuto indecente. E, peggio, qualche Martano avanzò vaghe minacce tendenti a volere impedire ai cittadini tuscanesi l’accesso a quelle acque minerali.
Intanto la stagione dei bagni si approssima. E noi presentiamo ai dirigenti l’Amministrazione i desideri della cittadinanza tuscanese, perché nella prossima stagione estiva il bagno non solo venga spurgato e pulito; ma vi si facciano anche tutti quei lavori che lo rendano rispondente ad ogni decenza ed alla più elementare igiene, provvedendo altresì a migliorare, almeno nei punti più scabrosi, la strada d’accesso. E sarà pur necessario prendere quei provvedimenti preventivi atti a tutelare la nostra popolazione da qualsiasi molestia, anche ad evitare conseguenze gravissime. Si porti adunque la cosa al Consiglio, ma presto, perché si provveda a tutto in tempo. E insisteremo e qui e al Consiglio, perché si provveda davvero”[21].
 
Gli articoli sull’Acquaforte continuarono ancora (sinceramente non sono riuscito ad organizzarmi per andare all’Emeroteca di Roma e compiere un’accurata ricerca: spero che lo faccia qualche altro più solerte di me). Ne ho trovato uno del 1930, il cui anonimo autore (potrebbe essere Giorgio Berlutti?) dalle colonne del “Giornale d’Italia” del 23 settembre ribadiva ancora i diritti dei Tuscanesi, lamentando, però, qualche carenza nella manutenzione della vasca adibita ai bagni. Ma ascoltiamo il suo diretto intervento:
 
“TUSCANIA, 21
In queso periodo di riposi. e di villeggiature estive, abbiamo avuto modo di leggere inni lirici, pittoresche descrizioni di località, esaltazioni della bontà delle acque minerali di cui sono sì ricche le nostre terre. Abbiamo pure rilevato, con compiacimento, l’opera validissima svolta dal Dopolavoro di Viterbo per la migliore valorizzazione delle acque termali dei vecchi bagni presso il Bullicame e quelle del Bagnaccio.
Più volte dunque, il nostro pensiero si è volto alle acque minerali solfuree ferruginose delle quali è dotata Tuscania e che mancando le cure necessarie, rimangono in stato di completo abbandono.
Con vera nostalgia abbiamo ricordato più volte che, da ragazzi, andavamo a sguazzare nella piscina dell’antichissimo “Bagno” dell’acqua solfurea ed a dissetarci nelle sorgenti potabili che contengono ferro e zolfo. Nel tempo stesso ci ritornava alla mente ciò che hanno sempre affermato i nostri vecchi sulle qualità medicamentose di quelle acque, sia per guarire malattie della pelle sia per disturbi intestinali, ingrossamenti della milza in malarici, ecc.
Negli atti comunali si accennna ripetutamente all’importanza delle nostre acque.
Se risaliamo ad epoca alquanto lontana, e cioè al 21 settembre 1624, leggiamo nel resoconto della seduta consiliare: “Havemo nel nostro territorio nella Bandita di S. Savino un’acqua buonissima contro la rogna ed altre infermità, etc.”. Ed il Consiglio deliberava: “ridurre in quel stato che indicherà a proposito il Bagno di S. Savino nel nostro territorio”. E nei secoli il Comune si occupò continuamente del Bagno, stanziando annualmente somme per ripulirlo e per erigervi ogni anno un capanno. Da qualche anno a questa parte non si provvede più nemmeno alla modesta costruzione di paglia.
Nelle colonne del “Giornale d’Italia” più volte abbiamo posto in evidenza l’importante problema, esprimendo il voto di un sollecito ed efficace intervento delle autorità, affinché siano utilizzati il bagno e le sorgenti dell’acqua ferruginosa posti l’uno e le. altre in condizioni decorose ed igieniche.
Precedenti Amministrazioni comunali hanno obbiettato non essere il caso di fare costruzioni per il Bagno, in quanto la tenuta di S. Savino, un dì proprietà promiscua fra il Collegio dei Cardinali, i Comuni di Tuscania e di Marta, per la zona in cui si trovano le sorgenti di acque minerali, è passata, per sentenza 27 gennaio 1907 della Giunta d’Arbitri, in proprietà del Comune di Marta.
A nostra volta abbiamo osservato, sempre nelle colonne di questo giornale, che il diritto della popolazione di Tuscania sulle acque stesse è stato mantenuto ed esercitato anche dopo il 1907 e tuttora lo si esercita. Del resto il Comune ha fatto le sue riserve innanzi alla Giunta in merito ai propri diritti sulle sorgenti delle acque minerali. La Giunta ha detto chiaramente: “Il giudicare sulla domanda perché venga continuata la servitù di accesso e di uso delle acque termali e minerali a beneficio della popolazione di. Tuscania sfugge alle attribuzioni di questo consesso”. Un complesso di fattori dunque dimostra che i diritti della popolazione stessa sono rimasti impregiudicati.
Soltanto non è stata svolta alcuna azione atta a sostenere la questione. E’ mancata la volontà di fare. E noi segnaliamo la cosa al Dopolavoro ed in particolare al locale fiduciario, geometra Giuseppe Pierdomenico, ed al Commendator Pocci [Enrico, podestà, n.d.r.], affinché si attuino quelle misure che rimettano in piena efficienza, nell’anno venturo, il nostro antico Bagno. Riteniamo che il periodo di un anno sia più che sufficiente per ogni sistemazione, per definire la pratica e per l’esecuzione dei lavori necessari.
Certo, non possiamo aspirare al sorgere di una vera stazione climatica, con tutti i suoi conforti. Sarà intanto un passo notevole compiuto a vantaggio di tutti.
Il nostro fervido augurio è dunque che la popolazione di Tuscania e quelle dei Comuni vicini possano nella prossima estate ristorarsi e curarsi nelle acque dell’antico Bagno di S. Savino e che alle fonti dell’acqua sulfurea ed a quelle dell’acqua ferruginosa si compiano quelle innovazioni che le regole igieniche impongono”[22].
 
L’autore di questo articolo riuscì certamente ad ottenere gli effetti desiderati, perché il bagno tornò in piena efficienza, almeno fino al terremoto del 1971. Segue

 

Tentativi di sfruttamento dopo la seconda guerra mondiale

Qualche anno dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, nel fervore della ricostruzione, ci fu anche a qualche imprenditore venne l’idea di utilizzare l’Acquaforte a scopo industriale. L’Ing. Nicola Lattanzi, romano, ed il Rag. Giuseppe Fucini, martano, costituirono una “Società Anonima” per sfruttare l’acqua della sorgente di S. Savino. Vi leggo il loro programma, inviato al sindaco di Marta il 3 dicembre 1947[23]:
“Istanza di concessione per lo sfruttamento dell’acqua minerale di S. Savino.
– Costruire inizialmente una fabbrica di acque minerali, aranciate e gassose. Il nome e l’etichetta: “S. Savino – Marta”.
– Lo scopo di tale denominazione è quello di dare a Marta uno sviluppo Turistico e Industriale.
La zona della sorgente verrà bonificata di una strada camionabile.
– Sarà fatta istanza dalla Società alla provincia per il miglioramento della strada Marta-Tuscania.
– Nei mesi estivi sarà stabilito un servizio di autobus da Marta alle sorgenti.
– Saranno costruiti i bagni per i fanghi
– Sarà condotta sul luogo delle sorgenti l’energia elettrica.
– Sarà costruito sul luogo un albergo per chi volesse sostarvi per un periodo di cura”.
Non saprei dire con quale spirito gli amministratori del Comune di Marta accogliessero quella richiesta, ma ritengo che non ebbe alcun séguito e venisse archiviata senza particolari risvolti, perché nel fascicolo da me esaminato, quella domanda è l’unico elemento di carta che fa riferimento all’Acquaforte; non c’è nemmeno la minuta di una risposta formale.
Nel 1951 apparve un nuovo progetto realizzato personalmente dal sindaco di Tuscania, Geom. Giuseppe Pierdomenico, eletto il 23 giugno. In via ufficiosa lo presentò immediatamente agli amministratori suoi collaboratori: l’Acquaforte sarebbe stata convogliata in una particolare conduttura ed avrebbe seguìto il corso dell’Acquarella-Marschiolo fino a Tuscania, per giungere in contrada San Francesco, dove sarebbe sorto un complesso termale. Nei mesi successivi il progetto era già messo a punto ed iniziava l’iter burocratico per la realizzazione, ma l’improvvisa morte del giovane sindaco (14 dicembre 1951) determinò anche la fine del suo ambizioso progetto.
A metà degli anni Cinquanta (erano sindaci di Tuscania, prima l’Avv. Nazareno Salvatori, poi il Comm. Pericle Scriboni), ci fu una vera ripresa di lavori per migliorare l’utilizzazione dell’Acquaforte. Si migliorò la possibilità di attingere acqua alla sorgente, la vasca tornò ad essere fruibile, si costruì un capanno efficiente che fungeva da spogliatoio, ma soprattutto si aprirono i “cantieri”, grazie ai quali molti disoccupati trovarono lavoro, e venne costruita ex-novo una strada spaziosa ed agevole, che scendeva dalla provinciale Tuscania-Marta dentro la valle dell’Acquarella. Ora frotte di Tuscanesi e Martani frequentavano più assiduamente la sorgente e la vasca, ma andavano anche a bere alla sorgente di acqua “ferruginosa” situata lungo il fosso medesimo, ma un po’ più a valle.
Una svolta decisiva si presentò qualche anno dopo, con la presentazione di un nuovo progetto, che tale purtroppo rimase. Ecco in sintesi i suoi sviluppi.
A Tuscania aprì uno studio medico il dott. Enea Elmy. Appena introdotto nell’ambiente tuscanese, cominciò subito ad interessarsi a tutte le potenziali risorse locali. Conobbe ben presto anche l’Acquaforte e la fece analizzare. Io stesso ho ascoltato più volte il dott. Elmy che illustrava ed esaltava i benèfici effetti che quell’acqua può produrre al fisico umano. Da qui a studiare il suo sfruttamento fu un attimo. Nel 1963, egli fece realizzare un progetto che avrebbe trasformato l’area da agricola ad industriale. Ricordo che presentò il plastico fra l’entusiasmo di molti e senza incontrare l’opposizione dei “verdi”, perché non erano ancora nati. Il suo progetto, però, morì sul nascere, perché, diffusasi la notizia, i prezzi dei terreni coinvolti presero a lievitare come d’incanto, al punto che il dott. Elmy fu costretto a desistere dall’opera ancor prima di cominciare.
Molti, come me, dalla Seconda Guerra Mondiale in poi, ricordano le passeggiate all’Acquaforte: s’incontravano spesso le allegre comitive che andavano o tornavano, trasportate spesso da carretti cigolanti, mentre noi ragazzi scorrazzavamo in bicicletta, talvolta anche in maniera anche un po’ spericolata. Tutto ciò è continuato ininterrottamente almeno fino alla fine degli anni Sessanta.
Poi il terremoto. Quel terremoto che, tra gli altri esiti negativi, ha interrotto questa bella tradizione. Potrà mai essere ripresa? Speriamo. Segue

 

Nasce un’idea….. 

Avevo ormai esaurito il mio racconto, completato con la lettura degli articoli, e nessuno di noi s’era accorto che già incominciava a farsi tardi. In fretta tutti ci salutammo e ci separammo, mentre qualcuno manifestava il desiderio di voler conoscere sul passato di Tuscania ancora altri episodi, che lungo il corso della narrazione erano stati qua e là appena sfiorati.
Rimasi solo con il mio amico e riprendemmo la nostra strada.

“M’è venuta un’idea!” mi disse dopo una breve pausa, mentre ci avviavamo ormai verso casa. “Domani sera – continuò – abbiamo la riunione del Consiglio del nostro Club “Tippetoppe”. Voglio sentire che cosa ne pensano i membri del Consiglio su un’eventuale proposta di riattivazione della strada che conduce alla sorgente dell’Acquaforte e la ripulitura della vecchia piscina; in caso affermativo, potremmo inserire quest’iniziativa fra quelle da attivare per l’anno prossimo 2003, in occasione del nostro decimo anno di fondazione”.
E fu così che il Consiglio dell’Associazione “Tippetoppe Mountain Bike – AVIS” di Tuscania venne a conoscenza dell’idea, accettata subito da tutti con vero entusiasmo. Qualche tempo dopo, la proposta fu illustrata nuovamente all’Assemblea plenaria dei soci, ciascuno dei quali, nel vivo della discussione, suggerì il proprio punto di vista per l’attuazione pratica del progetto, che successivamente fu portato all’esame della Giunta Comunale di Tuscania. Qui non solo fu accolto positivamente, ma emerse la volontà di cooperare con ogni mezzo alla sua realizzazione, coinvolgendo anche gli Amministratori dei due Comuni. Sono certo che il sindaco di Marta, Giovanni Morelli, e quello di Tuscania, Antonio Peruzzi, faranno propria e sosterranno con tenacia questa lodevole iniziativa del club “Tippetoppe” di Tuscania.

Non rimane, ormai, che dare il via ai lavori, dove si esprimerà pienamente il volontariato dei soci del “Tippetoppe”; in tal modo i Tuscanesi ed i Martani potranno riappropriarsi e riutilizzare quelle benefiche acque tanto apprezzate dalle generazioni del passato, magari riposando su una panchina nuova, vicino alla vasca, leggendo un libro all’ombra dei “frondosi alberi e verdi cespugli”, che la circonderanno da ogni parte, una volta ricostruita proprio come ce l’ha descritta Secondiano Campanari. La sorgente e la vasca continueranno ad essere incastonate in quel meraviglioso scenario di sughere, che fanno da corona alla rupe tufacea (su cui un tempo sorgevano l’Abbazia ed il Castello) fino all’aprirsi dei vasti prati degradanti verso il fondovalle per concludersi in quella linea sinuosa di pioppi e salici, che nascondono alla nostra vista il percorso dell’Acquarella.
Non aggiungo altro. Ringrazio, anche a nome del club “Tippetoppe”, la disponibilità del titolare dello IAT, dott. Antonio Liberati, e del dott. Giovanni Carletti per le analisi effettuate all’acqua che sgorga dalla sorgente e per la relazione sulle sue proprietà terapeutiche, di cui ora i Tuscanesi potranno prendere visione per la prima volta; si tratta, infatti, di un documento inedito: per quante ricerche siano state effettuate, non è stato possibile reperire altre analisi in precedenti pubblicazioni.
 Alla relazione dello IAT, seguirà infine quella per la definitiva sistemazione ambientale ordinata dal Sindaco Antonio Peruzzi ai responsabili dell’Ufficio Tecnico comunale, che l’hanno elaborata dopo aver superato alcune difficoltà di ordine burocratico.

 

Note

[1] Chi volesse approfondire la conoscenza degli scavi effettuati nelle “Terme Romane” di Tuscania, può leggere lo studio pubblicato da G. BENDINELLI, Tuscania: Tomba a camera rinvenuta in località “Poggio Calvello”. Resti di costruzioni romane presso la chiesa di S. Maria Maggiore, in “Notizie degli Scavi” (1920, fasc.4°,5°,6°), pp.112-117; così pure è utile il lavoro di S. QUILICI GIGLI, Tuscana (Forma Italiae -Regio VII, volumen secundum), Roma 1970: fig. 243, p. 164 (con planimetria e sezione), foto n. 244, p. 165, fig. 252, p.167 (pavimento in mosaico delle terme). Nel 1929 il podestà, l’Avv. Enrico Conte Pocci, fece continuare gli scavi a sue spese: in quell’occasione usci un bell’articolo dal titolo Importanti scoperte archeologiche a Tuscania (con foto delle terme) sul quotidiano romano “La Tribuna” del 19 maggio 1929, p. 4 (l’articolo non è firmato, ma ritengo che sia di Giuseppe Cerasa; è conservato a Tuscania nell’Archivio privato dei Conti Pocci (inv. I-II-2.11). Ringrazio l’Ing. Cesare Conte Pocci, che me lo ha gentilmente messo a disposizione, come pure mi ha consentito di pubblicare per intero gli altri due articoli che si leggeranno più sotto.
[2] Ricordo che l’Acquarella nasce a S. Savino e, percorsi pochi chilometri, in contrada Castelluzza (subito dopo la necropoli), va a confluire nel fosso Maschiolo, proveniente dal Fontanile di Montefiascone; il Maschiolo poi si getta nel fiume Marta sotto la rupe di Pian di Mola (al Bocchettone, poche decine di metri a valle della cartiera).
[3] L’opera manoscritta di Francesco Giannotti (1533-1607) si conserva presso la canonica del Duomo di Tuscania, nell’Archivio Capitolare, n. 310bis, in due copie; una terza copia è reperibile a Roma, presso la Biblioteca Hertziana, n. d’inventario 32A (il volume è suddiviso in sei parti; le prime tre furono pubblicate in ciclostile nel 1969 dal Centro Studi Storici “V. Campanari”, diretto dall’avv. G. B. Sposetti Corteselli con il titolo “Storia di Tuscania scritta da Francesco Giannotti nel secolo XVI”).
[4] La tipologia delle monete descritte ha indotto al prof. Anthony Luttrell di ritenerle del III-I secolo a.C. (cfr.: A. LUTTRELL, Two templar-hsopitaller preceptories north of Tuscania (Plates XXI-XXVI), p. 93-94, in “Papers of the British School at Rome” XXXIX (1971), pp. 90-124. L’episodio, di cui fu protagonista Moretto il Cavallaro, fu ripreso recentemente in un racconto di P. SCRIBONI, Tuscania non c’è più, Vignanello 1977.
[5] Moretto il Cavallaro aveva due figli: il maggiore si chiamava Sallustio, nato il 3 maggio 1553; il secondo Arrigo, nato il 23 febbraio 1558 (cfr.: Archivio Capitolare Tuscania, Registro dei Battesimi, vol. I, c. 78r e 101r, rispettivamente).
[6] Il Giannotti inserisce il suo racconto nella parte in cui tratta dei castelli disseminati nel territorio di Tuscania, quando nomina il Castello di San Savino, che elenca come il quarantatreesimo castello. Ecco le sue precise parole: “Il quarantesimo terzo è San Savino, parimente per la detta strada [verso Marta] più vicino a Toscanella, et quasi sopra a li due sopradetti fiumi Maschia et Marha, che scaturisce dal Lago di Bolsena. Nel qual Castello di San Savino era già una Abadia molto riccha, di che se ne trovano molte scritture et instrumenti che ne fanno fede, sicome più sotto, nela terza parte di questi miei discorsi, toccaremo. Nel quale [castello], ali anni passati, fu trovato da uno, chiamato il Moretto Cavallaro, un bagno sotterra molto antico, con grandissima quantità di medaglie di bronzo antichissime che, secondo referiscie il figliolo maggiore di detto Moretto et altri che le viddero, ascendono a più di venti stara, che sarìan più de un rubbio e mezzo quelle che in più volte le cavò, de le quali la maggior parte eran guaste dal tempo et quasi tutte quelle che erano alquanto preservate in modo che si potessero comprendere havevono da una banda l’imagine di Jano bifronte et dal’altra diverse cose, et in molte una prora di nave conforme a quel che dice Ovidio [Fasti, I, 239-240] sopra di ciò:
At bona posteritas puppim formavit in aere
Hospitis adventum testificata dei
(Così la pia discendenza impresse nel rame la poppa
perché testimoniasse l’arrivo dell’ospite dio Giano);
dele quali medaglie ordinariamente per tutto quel contorno del territorio di Toscanella pare che spesso se ne trovi, sicome anco de’ vasi di terra, de’ condotti anco di piombo et altre cose simili come de’ muri antichi con opera reticulata et altre (Storia di Tuscania scritta da Francesco Giannotti nel secolo XVI, edita in ciclostile dal Centro Studi Storici “V. Campanari, p. 32/A).
[7] Così dice il LUTTRELL, Two templar cit., p. 94: “The remains of a Roman villa (Tuscania: 3777035), with pottery datable from the first century B.C. to the early second century A.D., lie on the plateau across the valley to the west of S. Savino”.
[8] Si rileva da una “Rubricella” manoscritta del XVII sec. (contenente una fitta serie di notizie rilevanti per la Comunità) conservata presso l’Archivio Storico Comunale di Tuscania (senza numero d’inventario, perché non ancora catalogata).
[9] Archivio Storico Comunale Tuscania, Serie: Registri dei Consigli. reg. n. 44 (1615-1636), c. 237r.
[10] Ecco come il segretario comunale ha sintetizzato la delibera approvata:
Super octava: il molto Illustre Magistrato [cioè i Priori] con li Signori Marc’Antonio Giannotti e Cap. Fabritio Poccia debbono ridurre in quel miglior stato, che giudicheranno a proposito, il bagno di S. Savino posto nel nostro territorio e si vaglino del retratto dell’ucellatura appaltata, fino alla somma necessaria (ivi, c. 238r).
[11] S. CAMPANARI, Tuscania e i suoi monumenti, I, Tipografia del Seminario presso Uldarico Sartini, Montefiascone 1856, pp. 48-49.
[12] Si noti che il Campanari sta parlando delle “terme romane”, da lui qui intuite, ma ai suoi tempi ancora sconosciute: sarebbero state portate alla luce, come abbiamo visto, una sessantina d’anni dopo, durante la Prima Guerra Mondiale!
[13] Qui il Campanri appone una nota, che io ometto, perché riporta il passo del Giannotti con l’episodio di Moretto il Cavallaro, che già conosciamo.
[14] 23 gradi R° (Reaumur) corrispondono a 28,75 gradi C°.
[15] CAMPANARI, Tuscania cit., p. 49-50.
[16] Ivi, p. 50.
[17] Tuscania, Archivio Storico Comunale, Fondo Diplomatico, pergg. n. 23 e 24 del 5 maggio 1263. Il pianoro si trova sulla rupe tufacea, simile ad una prora di nave, delimitata dal fosso dell’Acquarella ad est e dal fosso Le Buche ad ovest, che confluiscono a qualche centinaio di metri a valle della sorgente dell’Acquaforte.
[18] LUTTRELL, Two templar cit., che è il testo più esauriente di tutti; si trovano notizie anche le seguenti opere: C. PINZI, Storia della città di Viterbo, III 1899, pp. 118 e 122; M. ANTONELLI, Vicende della dominazione pontificia nel Patrimonio di S. Pietro in Tuscia dalla traslazione della Sede alla restaurazione dell’Albornoz, p. 387, in “Archivio della Società Romana di Storia Patria”, vol. XXV(1902), pp. 355-395; G. SIGNORELLI, Viterbo nella storia della Chiesa, I, Viterbo 1907, p. 78; F. LUDOVISI – S. AURELI – L. LUDOVISI, Comparsa Aggiunta (Roma 16 luglio 1907), in “Giunta degli Arbitri in Viterbo – Comune di Marta contro il Sacro Collegio degli Em.mi Cardinali” (fotocopia fornitami gentilmente dall’amico Carlo Prugnoli, interessante per le vicende della tenuta agricola di S. Savino); G. CERASA, L’Agro Tuscaniese e i Diritti Civici, vol. I – I Pascoli, Viterbo 1911, pp. 366-370 (dove la storia si S. Savino è abbastanza dettagliata); C. DE CUPIS, Le vicende dell’agricoltura e della pastorizia nell’Agro Romano. L’Annona di Roma. Giusta memorie, consuetudini e leggi desunte da documenti anche inediti, Roma 1911, p. 194; G. SILVESTRELLI, Le Chiese e i Feudi dell’Ordine dei Templari e dell’Ordine di San Giovanni in Gerusalemme nella Regione Romana, pp. 502, 527-528, in “Rendiconti della Reale Accademia dei Lincei, classe di scienze morali, storiche e filologiche”, Serie V, vol. XXVI, fasc. 5-6, Tipografia dell’Accademia, Roma 1917, pp. 491-539; S. CONTI, Le sedi umane abbandonate nel Patrimonio di S. Pietro, Firenze 1980. pp.172-173; G. GIONTELLA, Tuscania (VT). S Sabino (o Savino), in “Monasticon Italiae”, I, Roma e Lazio (eccettuate l’Arcidiocesi di Gaeta e l’Abbazia nullius di Monetecassino) a cura di F. CARAFFA , Cesena 1981, Scheda Bibliografica, n. 269, p. 187.
[19] Legge del 24 giugno 1888, n. 5489, confluita poi nel Testo Unico emanato con Regio Decreto del 3 agosto 1891, n. 510.
[20] G. CERASA, Gli Acquedotti e le Fontane di Tuscania, Tip. Agnesotti, Viterbo 1914, p. 6, nota 1. Ometto di citare qualche passo di questo volume, perché sono tutte notizie che ho già riferito precedentemente.
[21] “Il Messaggero” del 22 marzo 1922: Da Tuscania – Per le nostre acque termali (articolo non firmato, conservato a Tuscania nell’Archivio privato dei Conti Pocci (inv. I-II-1.1).
[22] “Il Giornale d’Italia” del 23 settembre 1930, p. 5: Le acque minerali di Tuscania (articolo non firmato), rilevato nell’Archivio dei Conti Pocci, citato (inv. I-II-2.11).
[23] Il documento (prot. n. 3363 del 3.12.1947) si trova presso l’Archivio Storico del Comune di Marta (posiz. n. 877-CI.III). Mi è stato gentilmente fornito in una recente ricerca d’Archivio dalla bibliotecaria comunale Irene Fedeli, che ringrazio per la sua cortesia.