● - STORIA DELL'AGRICOLTURA E DELLA TRANSUMANZA A TUSCANIA. 1° parte. di Mauro Loreti. - Succede a Tuscania - Toscanella - 2018


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● - STORIA DELL'AGRICOLTURA E DELLA TRANSUMANZA A TUSCANIA. 1° parte. di Mauro Loreti.

Pubblicato da in Blog Toscanella ·
Giungendo a Tuscania vedi una linea di mura, di torri, di palazzi di color marrone tenue del tufo ed amalgamato a questo ammiri il nenfro, rosaceo e violaceo. Le due pietre danno la snellezza a tutte le costruzioni anche quelle più tozze. Dal nono secolo avanti Cristo tanti agricoltori, soldati e mercanti giunsero in questa città ed avranno detto: "Emèis bàinomen epì tès tùrsios kanoùses en te koilàdi tù potamù Larte ” tradotto: “Noi andiamo verso la fortezza aperta nella valle del fiume Larte”.
 
Proprio così : tursis kana, Tuscana, cioè una fortezza in campo aperto, nell’antica lingua greca. Nell'Etruria meridionale vi fu un forte aumento demografico ed otto secoli prima di Cristo, nel periodo degli etruschi, vi erano agricoltori e pastori: coltivavano ceci, orzo, farro e poi ottennero prodotti di qualità quali vino, olio, altri legumi, ortaggi e frutta.
 
I greci ed i romani ammirarono i risultati ottenuti dagli etruschi anche in campo agricolo lodando l'abbondanza di frumento e di greggi. La grande produzione di grano veniva esportata anche a Roma nei periodi di carestia e di guerre. Vi erano ottimi misuratori dei terreni ed era vietato spostare pietre e cippi di confine. I terreni venivano seminati dopo diverse arature per le quali utilizzavano i buoi più forti. I pascoli erano a disposizione per le pecore e le capre per produrre la lana pregiata ed il latte grasso e dolce.
 
Il Tevere nel mondo antico era il confine tra l'area etrusca a nord e quella laziale a sud. Verso il 650-630 a. C. l'economia si era molto sviluppata ed anche i latini iniziarono a coltivare la vigna, dopo essere stati istruiti dagli agricoltori etruschi.
 
L'arbustum era la vite maritata agli olmi: questo ' sistema fu utilizzato soprattutto dagli etruschi, poi fu trasferito a Roma e dette la possibilità di coltivare nel terreno anche i cereali tra i filari.
 
Nel 500 a. C. le campagne dell'Etruria meridionale erano dominate da poche città maggiori e vi erano tanti piccoli insediamenti. Nel secolo quarto a. C. Tuscania fu una delle più potenti città che formavano la lega etrusca contro i romani, in un periodo in cui questi erano impegnati a fondo dai sanniti.
 
Poi con una marcia attraverso la selva cimina nel 310 a. C. il console Quinto Fabio Rulliano ridusse gli etruschi all'obbedienza; ebbe il coraggio di attraversare la foresta che tutti consideravano impenetrabile!
 
Durante i sei secoli dell'età etrusca Tuscania crebbe d'importanza e mantenne un ruolo di rilievo anche nel periodo romano . Il suo sviluppo fu commerciale, specialmente in riferimento ai prodotti agricoli ed all'allevamento del bestiame nel suo vasto territorio. Era un centro agricolo di primaria importanza, capace di conservare grosse quantità di cereali nelle numerose cisterne.
 
Fu un centro etrusco potenziato di pertinenza agricola e a minore impronta difensiva e la sua posizione era strategica in quanto si trova nella zona collinare delle pendici sud-occidentali dei Vulsini dolcemente degradanti verso il mare Tirreno, circa a metà tracciato che da Tarquinia conduce al lago di Bolsena, lungo il corso del fiume Marta.
 
Tuscania fu uno dei più importanti centri agricoli e ciò determinò una polarizzazione dei percorsi che la qualificarono anche nel periodo romano come nodo fondamentale e fu costruita la strada interregionale Clodia (225 a. C. ). In questo periodo le misure di estensione erano l'actus cioè 120 piedi romani circa metri 35,50, il miglio cioè metri 1480, il piede centimetri 29,60. Le misure di capacità e di peso erano l'anfora o quadrantale cioè litri 26, il congio litri 3,28, il culleo 20 anfore litri 520, l'emina litri 0,274, la libbra grammi 321, il medimmo chilogrammi 52, il modio litri 8,7 , il sestario litri 0,57 , l'urna litri 13,10.
 
Nel mondo antico ci fu sempre una quantità di lavoratori sufficiente per tenere in piedi il sistema produttivo ma una parte della popolazione agricola era sempre presa dalla necessità di risolvere il problema della sopravvivenza. Gli antichi agricoltori cercarono continuamente di mantenere od aumentare la fertilità dei terreni; con il maggese si lasciava il campo incolto almeno per un anno e nella rotazione biennale o triennale si alternava con le coltivazioni.  I foraggi si falciavano più volte l'anno nelle annate più piovose e permettevano il benessere degli animali.
 
Uno iugero, metri quadrati 2.500, poteva nutrire tre cavalli per un anno. Per la concimazione veniva interrato con l'aratro il letame nel mese di settembre dopo le piogge. Nel periodo delle guerre puniche le continue leve, effettuate in modo massiccio per le richieste di soldati, e la durata del servizio militare causarono un allontanamento dei contadini dalle loro terre e fattorie. Marco Porcio Catone il Censore nel "De agri cultura" scrisse: " Il concime si può ricavare dallo strame ( erbe secche), dai lupini, dalla paglia, dai gambi di fave, dalle foglie di leccio e di quercia. Dai terreni a cereali strappa l'ebbio (erba perenne) e la cicuta, intorno ai saliceti, l'erba alta e l'ulva (un'alga). Adopera queste come lettiera per le pecore ed il fogliame marcio per i buoi. Se la vite è debole brucia i suoi sarmenti (tralci) e lavora il terreno a partire da lì."
 
Inoltre si facevano pascolare le pecore nei campi destinati alle semine. Lucio Giunio Moderato Columella nel "De rustica" scrisse che il lupino era importante, anche come concime, infatti sparso sui terreni poveri verso la metà di settembre, penetrava con l'aratura ed era un ottimo fertilizzante. I cereali furono la componente fondamentale dell'alimentazione antica ed il loro predominio si ebbe fino a quando durò l'impero romano.
 
Nel Lazio e nell'Etruria si coltivò per tre secoli il farro vestito chiamato far o ador o adoreum (triticum dicoccum). Essendo la cariosside vestita era necessaria la brillatura per togliere le glumi. Con il farro si faceva il pane e questo cereale, essendo rustico, cresceva bene in tutti i terreni compresi quelli molto umidi. L'orzo era un altro cereale molto resistente ed era usato anche come cibo per gli animali. Poi si coltivarono anche il grano duro ed il grano tenero. Il paesaggio dell'ager romanus e dell'ager tuscus antico era ricco di selve e di boschi. Circa la proprietà della terra due iugeri (mq 5041 mezzo ettaro) formavano un heredium che si trasmetteva per eredità.
 
Cento heredia formavano una centuria cioè circa 50 ettari, poi si raddoppiò: 200 iugeri erano una centuria cioè circa 100 ettari, lugero era definita l'area arabile in una giornata da due buoi con il giogo. Ai coloni anticamente venivano assegnati due iugeri di terra (mezzo ettaro) e la proprietà privata aveva il limite di sette iugeri (ettari 1,76 il famoso rubbio) che doveva bastare al sostentamento della famiglia. Nel 181 a. C. vennero mandati i coloni romani a Gravisca e a Tuscania e ricevettero cinque iugeri ciascuno (ettari 1,26).
 
Nelle aree appenniniche, subappenniniche, nelle zone boscose e nei pascoli esisteva ancor prima dei romani la possibilità della piccola proprietà individuale e l'utilizzazione collettiva della terra. Poi si continuò nel solco della struttura italica preesistente. Con otto iugeri (due ettari) si riusciva ad avere una quantità giornaliera di farina per far campare tre persone. Le terre comuni si utilizzarono per il pascolo, per la legna e per la rotazione delle colture e le case coloniche avevano una grandezza adatta all'estensione del lotto di terreno. Nelle situazioni di emergenza i romani cercarono il grano anche in Etruria.
 
Alla fine del primo secolo a. C. si verificò l'aumento del prezzo del grano perché ci fu la crescita demografica ed aumentarono anche i prezzi dei terreni agricoli e dei canoni di affitto. Vi furono nuove assegnazioni di terre. I nuovi lotti, a volte, erano venduti dagli assegnatari ad aziende confinanti o riaffittati agli ex proprietari espropriati. Dal 97 dopo Cristo in poi durante l'impero di Traiano sorsero nuove strutture più grandi: le ville imperiali. Nei primi anni del 500 le ville rurali erano state abbandonate con i loro vasti territori. Le campagne soffrirono il passaggio degli eserciti dei goti e dei bizantini.
 
Nel medioevo, dal punto di vista dell'alimentazione, essendo predominante la componente germanica, nell'Italia settentrionale e centrale si diffuse la coltura della segale. All'arrivo dei longobardi la popolazione romanica vide i cavalli selvatici e i bufali. Gli uomini deh nord Europa con le loro fare, gruppi familiari, si insediarono come possessori e ad essi venne assegnato un numero di coloni.
 
Divennero i nuovo padroni delle vecchie ville del periodo romano e ne dirigevano l'economia nella maniera tradizionale. L'aristocrazia longobarda impose ai cittadini italici l'onere della "tertia", un tributo pari ad un terzo del raccolto. I latifondi vennero confiscati e ridistribuiti tra i nobili e gli arimanni che, da guerrieri, si trasformarono in agricoltori. La curtis di un longobardo era formata da molte case massariciae.
 
Tuscania che era a tradizionale vocazione produttiva, continuò ad avere importanza nella produzione e nel commercio dei cereali. L'agricoltura seguì la tradizione romana e fu introdotto un aratro più pesante. L'aumento delle piogge alla fine del sesto secolo provocò gravi dissesti idrogeologici con il conseguente impaludamento di vaste zone dove era scomparsa la manutenzione dei drenaggi di epoca romana. L'instabilità del corso dei fiumi fece sì che in età altomedievale la viabilità prediligesse i percorsi di crinale o di mezza costa, al sicuro dall'acqua.
 
La Clodia quindi fu molto utilizzata Nell'anno 643 i longobardi, che dominavano anche a Tuscania, stabilirono con l'editto di Rotari che i prati si dovevano rispettare fino a che erano intatti, cioè fino alla falciatura e le messi fino a tutta la raccolta. Poi le stoppie con gli altri pascoli erano utilizzati per il bestiame.
 
Il possessore di terra, dopo la raccolta del fieno e del cereale, poteva godere privatamente soltanto la parte difesa con le chiusure. Nell'anno 823 sono ancora a Tuscania gli homines rumanenses , gli arimanni exercitiales, di stirpe longobarda nel casale Porcianum (Cerquabella). Anche dopo la sconfitta subita dai franchi continuava l'amministrazione longobarda degli arimannenses. La selva Gastalda ci ricorda ancora oggi i beni di ufficio degli antichi gastaldi. Avvennero donazioni di terreni "prò anima" ai monasteri ed alle chiese con riservato usufrutto per sé e la moglie vita naturai durante.
 
Nel 700 la prevalenza dell'agricoltura permise la conservazione dei terreni perché molte terre, dopo la decadenza romana, si trovavano in situazioni precarie con il pericolo della malaria e dello spopolamento. La "sala" era un insediamento di origine longobarda formato da un gruppo stabile di persone addette alla pastorizia.
 
Il "casale" riuniva più terreni ed il suo territorio veniva fortificato con le cinte murarie. Un ruolo importante ebbe il monastero di San Salvatore sulle falde del monte Amiata. L'abbazia fu fondata per ordine del re longobardo Rachis dal nobile longobardo Ertone, figlio del duca friulano Pietro, intorno al 750 e fu utilizzata per attrarre patrimoni e terre che venivano controllati dalla capitale Pavia . Il re gli concesse un diploma che lo investiva del "mero e misto imperio".
 
A Tuscania l'abbazia amministrava le aziende San Colombano e San Salvatore in valle Rachana vicini al fiume Arrone , il monastero di San Saturnino in Vico Montecucoli, il monastero di Santa Maria vicino all'Arrone con la chiesa di San'Anastasio e di altre nei territori di Tarquinia e ad ovest del lago di Bolsena giungendo fino al fiume Fiora . Le "celle" erano un insieme di fondi con le case, i terreni coltivati ed i pascoli.
 
Vi era l'obbligo della residenza sul fondo per i coltivatori diretti per cui c'era molta gente nelle campagne. La popolazione, decentrata negli ambienti rurali, li colonizzava bonificando e dissodando i terreni incolti e boschivi.
 
Ovviamente alcune aree furono riservate alle attività silvo-pastorali molto importanti per l'economia. Il bosco ceduo era fondamentale. In alcuni terreni erano coltivati insieme alberi da frutta, olivi e vigna. Lo sfruttamento agricolo era indirizzato soprattutto all'autoconsumo. Il monastero dava in concessione livellaria alcune particelle di terra agli agricoltori che si prestavano, nei periodi di punta delle lavorazioni aziendali, con alcune giornate lavorative. Invece i coltivatori non diretti pagavano una somma annua in denari d'argento.
 
I terreni dei proprietari laici erano meno estesi di quelli dell'abbazia ed avevano anch'essi un ruolo molto importante nell'economia agricola del territorio. Dal 700 al 1000 il paesaggio agrario presentò zone coltivate ed incolte, in parcelle sia aggregate che in ordine sparso.
 
La civitas aveva una forza di attrazione per una parte della popolazione, altri preferivano abitare nei villaggi e nei casali in campagna. Nel 900 iniziò anche l'incastellamento con la costruzione dei castra, a difesa dei fondi rustici. Dal 1000 in poi si formarono tanti piccoli centri e accrebbero di potenza le città più importanti del Patrimonio di San Pietro in Tuscia: Tarquinia, Tuscania, Viterbo. L'economia delle campagne e delle città era legata all'agricoltura in quanto tutto ciò che si scambiava, prodotti grezzi ed elaborati, venivano dalle coltivazioni e dagli allevamenti.
 
Dai boschi si ottenevano i combustibili ed i materiali per costruire telai, abitazioni, attrezzi ed utensili. Intorno al 1250 gli ordinamenti colturali ed i sistemi di produzione prevedevano soprattutto il frumento. In particolare le terre alluvionali vicino ai fiumi avevano una buona produzione. Si coltivava anche lino e canapa. Vi erano anche prati e lame per i foraggi. Le lame sono i terreni vicini ai fossi ed ai fiumi.
 
L'avvicendamento triennale prevedeva il primo anno il riposo a maggese, il secondo anno la prima semina a grano ed il terzo anno la semina della spelta o dell'orzo, cereali più rustici e meno esigenti. Le vigne erano misurate a zappe, il periodo per completare la loro lavorazione. Si allargò la proprietà feudale . Negli anni 1285-1289 rivestì la dignità di abate di San Salvatore Pietro da Toscanella che favorì una notevole espansione dei possedimenti monastici sui nostri territori.



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