Il Saviozzo - Toscanella

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Il Saviozzo

Scrivono per noi > Mauro Loreti
 
“PATRE, MISERICORDIA, E NON GIUSTIZIA!”. SIMONE SERDINI DETTO IL SAVIOZZO. di Mauro Loreti.

 
Questo importante poeta umanista  senese nacque intorno al 1360: era molto erudito, scrisse tanti componimenti e visse a Siena ed in alcuni  palazzi signorili al servizio  di conti e signori: nel Casentino dal conte Roberto Novello Guidi da Poppi , da Ludovico Alidosi condottiero e signore di  Imola,  da Niccolò II d’Este marchese di  Ferrara, da Francesco I Gonzaga condottiero e capitano del popolo a Mantova, da Gian Galeazzo Visconti duca di Milano, da Malatesta Malatesta condottiero, capitano di ventura e signore di Pesaro, da Pandolfo III Malatesta condottiero e signore di Fano, dal condottiero Giovanni Colonna a Firenze dove  era capitano della Repubblica Fiorentina, a Napoli alla corte del re Ladislao  I  e  dopo dalla di lui sorella regina di Napoli  Giovanna II d’Angiò Durazzo,  e nel 1415 a Tuscania da Angelo Tartaglia da Lavello condottiero, capitano di ventura,   governatore e poi conte di Toscanella.  Qui egli fu segretario, oratore e cancelliere.  A Tuscania Tartaglia aveva il quartiere generale ed il palazzo fortificato da dove partiva per le sue spedizioni militari. Arrivò  poi in questa città Agnesella Monaldeschi della Cervara, giovane  seconda moglie di Angelo e, in assenza del marito, scoccò una relazione con il poeta. Lo seppe il Tartaglia e subito fece arrestare ed incarcerare il Saviozzo. Nel frattempo Angelo si recò in Campania per combattere la regina Giovanna per ordine del papa Martino V con millecinquecento lance. Trovò la morte ad Aversa nel mese di dicembre del 1421, condannato, per tradimento, dal pontefice .

Disegno di Roberto Quarantotti

 
Trovandosi in carcere Simone non resse e nello stesso mese si suicidò. Poco prima di morire scrisse una canzone che si può considerare una disperata, lamento del poeta, o una poesia penitenziale. Egli riflette sui suoi peccati e maledice la sua natura viziosa, quindi si pente e compone una preghiera con l’invocazione della misericordia di Dio. Per quanto riguarda la metrica la canzone è petrarchesca e si compone di centodue versi.  La sventura e la disgrazia gli si avvolgono nella mente e la sua anima è triste. Crede di essere diventato una belva pigra e sonnacchiosa ed odia la vita. Si sente privo di senno e  senza più memoria, ingegno, intelletto e sapienza. Osserva gli animali e le piante che vivono nella natura, nelle sue stagioni, mentre lui si sente beffato nella sua vecchiezza.  Ha passato da tempo la metà della vita e già corre verso la morte pieno di smarrimento.

Stemma di Siena

Chiede ancora la fine non sperando più di sollevarsi, trovandosi nel fango. Il suo cuore è pentito ed un incurabile dolore lo spinge verso la morte in quanto sente di vivere  gli ultimi istanti. Piange per la sua colpa, del tempo andato e di essersi fatto beffe del bene che Dio gli aveva donato. Chiede quindi al Signore di provvedere, non per le sue opere ma per misericordia. Chiede a Dio di ascoltare la sua preghiera. Invoca ancora la Divina Maestà e Trinità come eccelsa, perenne, unica, ineffabile, somma Provvidenza e poi si rivolge al Signore Padre e Redentore che si fece carne nel virgineo grembo di Maria e, col suo sangue, aprì il cielo a tutti, perdonando gli uomini per la loro ignoranza, mentre pendeva in croce. Infine chiede di nuovo misericordia e non giustizia per i peccati commessi.

Disegno di Fabio Fabbri


 
Scrisse Guglielmo Volpi;” Quel che ho potuto raccogliere intorno alla vita del Saviozzo basta per rappresentarlo come uomo di carattere bizzarro e violento; non ci deve far quindi meraviglia che, accecato dalla passione, ei troncasse così la sua avventurosa e travagliata esistenza.”


 
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