Angelo di Lavello - Toscanella

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Angelo di Lavello

Scrivono per noi > Mauro Loreti

Angelo Tartaglia da Lavello     
Primo Conte di Toscanella
di Mauro Loreti

Scrisse Secondiano Campanari : “ Dei condottieri d’arme di che allora era piena l’Italia e nella guerra reputatissimi andava in voce Angelo di Lavello Tartaglia prode uomo e gagliardo, di animo vasto e rivolto a grandi ed animosi fatti … Sapeva costui come ispauriti e sbattuti i toscanesi dalla strage dell’Orsini, lontani da ogni nuovo sospetto di violenza, disarmati o inutili alla difesa, vivessero abbandonati con poca guardia; perché pensava che introdotto in un subito buon numero di gente eletta la quale opprimesse sprovvedutamente i capi del magistrato nelle proprie lor case, era agevole l’impadronirsi della terra.  …  levato l’esercito dalla vicina Toscana dove stavasi con sua gente e dello Sforza di Cotignola al servigio della repubblica ( di Siena ) e camminando con la gente in schiera tacitamente, avvicinossi di furto alle mura, e spenta la notte,  giù assaltò gagliardamente due porte della terra, che sfasciate e sturati i passi accolsero dentro il nuovo e feroce scherano. E per un pezzo s’affaticò per ritenerlo, nato un contrasto, il debole presidio ch’era alla difesa dell’entrate; ma, prevalendo gli assalitori in numero ed in  virtù, furono astretti (costretti) i difensori a sottrarsi. Avuto il Tartaglia per forza il paese, lo corse e rubò d’ogni sostanza, e di molta preda; le ruberie, le presure, le rapine di che visse sempre costui  ne’ tredici  lunghissimi anni  (1409-1421) che tenne la terra a malvagia ed iniquissima tirannia. … e aveva 2500 cavalli di buon apparire dentro la città dov’era despota e d’onde mandava suoi comandamenti alle terre soggette taglieggiando baroni, vassalli, cittadini e facendoli al bisogno impiccare, o tagliare a ghiado (con la spada) dal balio (balivo cioè dal giudice) e da sergenti che assai bene conformavansi alla maniera del signore.

E i giudizii suoi erano ingiusti, la taglia che poneva a’ cittadini grandi , popolani e nobili gravissima. Venuto il Tartaglia nella grazia del papa, concedevasi a lui in vicariato (nel 1410 e poi in contea  nel 1421) Toscanella colle usurpate castella, e spedivalo l’anno appresso il papa nel regno di Napoli a danni della regina Giovanna, amica prima, nemica allora al pontefice, per unirsi allo Sforza e a Lodovico d’Angiò che arrivato era al mezzo agosto di quell’anno con sue galee e forte ciurma e soldatesca per combattersi al pari con lei. Ma siccome fu vero sempre che se campa il ladro dalle forche una volta e non v’ha guari (molto) che v’è menato; era l’ora del tempo suonata che questo ghiotto (avido) da capestro (da impiccare) dovesse finalmente mal capitare; perché entrato lo Sforza in sospetto che costui, gettata via la fede promessagli,  portata a Braccio cercasse vituperarlo e fargli mal garbo (atto scortese), fattolo collare (con la corda al collo) e mettere al tormento, seppe cose sue per sua confessione che a lui ne seguì vergogna assai e assai pericolo, sicché, mozzatogli il capo, lo si levò dinanzi. Né mai furono i tuscanesi sì lieti quanto allora, sentita la novella ; e fuochi e baldorie e festa si fece per più dì ed allegrezza grandissima e solenne quanto mai in alcuna città per alcuna propria vittoria si facesse. E fecero popolo colla insegna a croce del Comune, a cui diedero la guardia della terra, e la sbirraglia del Tartaglia rimossa , elessero lor capitano, gonfaloniere e anziani del popolo che, al modo che anticamente adopravano, pigliassero lo stato e la signoria della città, riformato il consiglio senza deliberazione del quale nulla spesa o gran cose si potesse arrischiare ed imprendere.






E così fermato, nuovamente s’ordinò il corso del Comune e popolo di Toscanella dell’anno di Cristo 1421. E ancora si fermò che, distrutti gli antichi fii (balzelli) de’ tartaglieschi, per più fortezza de’ signori del nuovo magistrato tutte le torri che n’aveva nel paese gran quantità si tagliassero alla misura di cinquanta braccia, e prima quella del Tartaglia, non mica del podestà e della signoria che alle altre dovevano soperchiare (superare). Perché poi insigne rubatore era stato costui, sicché delle robe e ricchezze de’ toscanesi  erasi smisuratamente arricchito, il pubblico consiglio fece ordinamento che a tutti fosse data licenza le perdute e mal tolte cose in quel modo ch’ei potevano ricuperare, e ritornato in primo il Comune al possesso degli occupati castelli, il popolo entrato a furia nelle sue case, e ogni nobile ricco arnese e fornimento e masserizia le disertò (tolse). E come hanno infelice fine i tristi la ebbe il Tartaglia: esempio veramente grandissimo di fortuna (sorte) vedere un assai valoroso e potente capitano di guerra da tanto grado e balia (autorità) in tanta infelicità con tanta rovina e con tal vilipendio cadere.”   Nel 1415 Angelo Tartaglia  fortificò la sua torre facendo costruire una cinta,  ovvero calza intorno,  con il suo simbolo e quello della Comunità di Toscanella.



Vicino alla torre costruì il suo palazzo con gli stemmi e le iniziali del suo nome. Continuò  Teodosio Laurenti : “ Tartaglia in l’anno piovve di Toscana con quella furia con cui giù si stacca masso da cima di scoscesa frana a Tuscania nel sen che doma e fiacca era ancor dalla strage (dell’Orsini) e colorato in rosso Larte ( il fiume Marte) ed ogni tosca lacca (valletta). Quasi densa muraglia d’ogni lato dall’assassina e micidial masnada (schiera) di tutti i prodi suoi guerrier serrato rotando in atto la fulminea spada rompe della città l’armi e le mura e s’apre dentro per due porte strada. E incende e abbatte e ogni sostanza fura (ruba); solo del brando (spada) alla ragion s’affida e più ne strugge (uccide) e più la sete dura. Crollano e case e templi … a morte sfida il suon … col croscio (rumore) delle fiamme ardenti sol s’odon pianti e disperate grida. Piangon le spose i lor mariti spenti,  o li rattengon dalla pugna solo coll’ingegno de’ pianti e de’ lamenti coll’indicar de’ figli lor lo stuolo (il gran numero) . Il sol velato di tenèbre vaste par che accompagni di Tuscania il duolo (dolore).Ovunque scorgi lo spavento! Caste vergini o spose sono morte, o d’angue (serpente) da impuro morso violate e guaste … La madre abborre (ha in orrore) il non isteril letto e di baci ricopre il figlio intanto che le si strappa dal materno petto … canuto il veglio prostrasi e degli anni detesta il dono, e lacerato il manto (mantello) la morte invoca … Scaltro cresce in sua possa, e in ogni terra con morte scherza ed a ferir l’incita, guasta cittadi e cittadini inferra. E viene e vede e vince in ogni uscita : le vittorie, i trionfi e gli altri onori sol puoi contar co’ giorni di sua vita… O patria mia ancor ti vedo i cigli di pianto molli per cotanti eroi sul campo che pur t’eran figli. Piangi lo sparso sangue ond’empi a noi le vene tutte affettuosa madre solo a  salvarti dai nemici tuoi. Crudo! Strappa i figlioi dal sen del padre che son sostegno della vita stanca per aumentar le micidiali squadre … Qual crudeltade e qual barbarie! Invade col suo furor colti, palaggi, il vile tugurio, e invola le mature biade … Altri col fune che gli pende al collo vedesi penzolar da un’alta trave  sicché cadendo dà l’ultimo crollo … quei  in dolorosa carcere è serrato  questi rotti ne porta e polsi e vene quegli ha la gola e questi il cor segato. Despota infame d’ogni civil bene a chi vita dispensa ed ore liete a chi veleno e morte ed agri pene. Ahi : quando di vendetta e d’or la sete a tiranna e crudel possa s’aggiugne la vita umana come gran si miete. Pur Boccaccino ( di Brunoro , suo compare , il 13 agosto 1415 ) a trucidar ei giugne …”  egli “ Grida : se al sangue mio tua man si tinse … altri verran .. del diffidare (non fidandosi)  e il brando ritorce alfin la punta in chi lo strinse. Godi or del colpo e del mio eterno bando; ma tu che sei di tante stragi ordigno t’avrai tolta la vita ed il comando … Pera (muoia) il tiran che con ingorda ed empia mano diè al sangue ed all’aver di piglio … dice a Tuscania … Spiegò le penne drittamente al cielo l’umil preghiera, Iddio l’intese … Egli in Aversa rapido sen venne. .. Qui venne suscitar le ree scintille di ribellion Tartaglia, e qui gli diero l’acerba morte che egli diede  ai mille …  Dio il volle: è in ceppi chi con finto zelo coll’amicizia prodizion (tradimento) copriva … Fremé ruggì quell’alma disperata ambo le labbra per furor si morse all’affacciarsi delle sue peccata. Il vel squarciato del futuro torse pel carcer gli occhi, in Dio mirò lo sdegno e nelle cose il suo castigo scorse. … Il pensier di sua morte lo trabocca (riversa)in duol più grave che non trova freno, e stracciasi del crin più d’una ciocca. … E mani e piedi di catene avvinto qual di lumaccia (lumaca) s’era il passo lento, di gelido sudore il volto tinto. … Vede il palco feral  (funesto)de’ ladri letto l’alzato acciaro (spada) d’uman sangue caldo, de’ giustizier lo stuolo maledetto. … Come persona che al rumor si desta della mannaja il croscio (rumore) il sonno pria gli ruppe, e poscia gli troncò la testa ch’apriva il labbro a ringraziar Maria. … Tuscania ch’era già madre di studi or di ladri per te fatta spelonca di marte (guerra) scuola e di guerreschi ludi, di leggi cassa (priva) e de’ suoi saggi monca “.

Nel 1421 Muzio Attendolo Sforza d’accordo col pontefice Martino V si unì quindi con l’esercito di Ottino Caracciolo e marciarono su Napoli. Il 17 giugno erano ad Acerra e bloccarono Napoli occupando tutte le campagne circostanti. Arrivarono anche Alfonso d’Aragona, con la flotta ,e  Braccio da Montone in aiuto a Giovanna . Nell’estate del 1421 Angelo Tartaglia, dietro invito del papa,  andò in soccorso di Luigi d’Angiò con 8oo cavalli pontifici ed alcuni fanti contro la regina Giovanna d’Angiò ed Alfonso d’Aragona. Giunse ad Aversa dove si erano fortificati Muzio Attendolo Sforza ed  Ottino Caracciolo , che comandava  anche a Maddaloni,  insieme  furono  a Castellammare di Stabia con 12.000 soldati tra fanti e cavalieri per liberare la rocca dall’assedio dei  bracceschi.  Quindi si diressero  con lo Sforza nella zona di Sessa Aurunca e di nuovo ad Aversa . Tartaglia contattò  di nascosto Braccio da Montone ed allora lo Sforza lo accusò di tradimento e di infido comportamento per aver avuto rapporti con il re d’Aragona e lo stesso capitano di ventura.  Muzio Attendolo pertanto  alla fine del mese di dicembre si recò di notte ad Aversa, fece circondare l’abitazione del Tartaglia, lo catturò e lo consegnò al podestà ed al commissario pontificio Cola Quarto.  Per ordine del papa  il Tartaglia fu torturato e decapitato nella piazza del mercato nei primi di dicembre  e fu sepolto nella chiesa di Sant’Andrea. Il palazzo di Tuscania fu confiscato dallo Stato Pontificio ed utilizzato dalla Reverenda Camera Apostolica per l’amministrazione e la gestione della dogana dei pascoli. Nella chiesa di Santa Maria della Rosa in  Tuscania c’è un suo stemma nella facciata ed un altro  nella navata destra  in un bassorilievo di nenfro, la pietra vulcanica locale, dove era l’ingresso alla sua cappella  che fece costruire durante la sua signoria. Nel 1999 durante i lavori di ripulitura di un ambiente, vicino al campanile della chiesa, sono stati trovati alcuni resti della cappella gentilizia: una grande colonna con il capitello, alcuni affreschi,un altare, un pavimento ed una colonna tortile . Facevano parte della cappella che non fu completata per la repentina morte. La sua insegna presenta un leone rampante con due cordoni annodati.  


 
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