Angelo Tartaglia da Lavello (1413-1421)

La Signoria di Tuscania

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un territorio proprio e i necessari riconoscimenti e privilegi; del resto la situazione fluida e precaria poteva in tal senso essergli favorevole.

            Fu così che scelse Tuscania per sua nuova residenza, già in suo possesso e collocata com’era nelle terre di quella Chiesa per cui si preparava a combattere; quindi vi si trasferì, e nel settembre del 1414 ottenne dal neo-papa Giovanni XXIII, nella cui fazione si era schierato, il possesso ufficiale della città con il titolo di vicario di cui potevano avvalersi anche moglie e figli, nati e nascituri, nonché il titolo di Rettore del Patrimonio (Introd., § 20)[1]; ciò gli fu riconosciuto anche per la fama conquistata sui campi di battaglia e una spregiudicata politica di ricatti e minacce che meglio attuerà in seguito con l’aiuto del suo futuro alleato Braccio Fortebracci da Montone.

            Ottenuta quindi ufficialmente Tuscania la famiglia Tartaglia si stabiliva definitivamente nella residenza signorile del quartiere di Poggio, occupando le case vicine e ampi spazi per i soldati e i servitori; residenza che Tartaglia personalizzò fortemente con ristrutturazioni, ampliamenti e fortificazioni continue nel corso dei suoi sette e più anni di dominio assoluto su Tuscania. Infatti per tutto il periodo della Signoria Tartaglia la Comunità fu esautorata e privata di ogni potere.[2]

            Tartaglia, divenuto Signore di Tuscania e dei castelli e dei centri vicini, ricevette subito onori e doni, Siena in particolare, mandò al nuovo vicario e rettore una lussuosa armatura e altre regalìe[3] e la vicina Viterbo si fece apprezzare per il dono di una notevole quantità di monete d’oro; così in forme più modeste gli altri centri. Quelle località del circondario che invece rifiutavano di riconoscere il potere di Tartaglia e quindi del papa Giovanni XXIII, venivano piegate con la forza; come nel caso di Corneto, l’odierna Tarquinia, che per essere recuperata alla Chiesa, fu attaccata, conquistata e saccheggiata nella primavera del 1415[4] da Tartaglia con l’aiuto del comandante Beccarino di Brunoro (Introd., § 23). Questi erano i metodi dell’epoca e dei condottieri di ventura.

            Ma i metodi di gestione del potere da parte del Tartaglia possono essere esemplificati da quanto accadde nell’agosto del 1415. Egli si trovava a Roma per questioni con il legato pontificio cardinale Isolani, quando ai primi di agosto venne avvertito di una congiura ai suoi danni istigata da Muzio Attendolo Sforza e attuata da Antonio Beccarino, comandante alleato nonché compare del Tartaglia, e un medico di Tuscania di nome Farina. Tornato immediatamente a Tuscania accusò questi di tradimento, li fece catturare e senza alcun processo decapitare pubblicamente[5] ed esporre, quale monito, i loro corpi. (Introd., § 23).

            Dopo aver concluso una strategica alleanza con Braccio Fortebracci di Montone (Introd., § 26-27), nella estate del 1416 Tartaglia lasciò Tuscania per andare con Braccio, altri alleati e un esercito complessivo di 2500 lance al famoso assedio di Perugina,[6] affrontare e vincere la celebre battaglia di S. Egidio[7] (Introd., § 29 e seg.). In questo periodo la fama di Tartaglia con Braccio da Montone raggiunse il massimo, fino a far loro vagheggiare la conquista di Roma, quale minaccia o per usarne il dominio quale merce di scambio (Introd., § 35) e per questo divennero i padroni incontrastati dell’Umbria e del Patrimonio di S. Pietro in Tuscia,[8] fino a diventare più tardi un problema per la Chiesa.

[1] Reg. Vat. 346, f. 172. - A. Di Chicco, 1990, cit., pp. 50-51.

[2] Vedi anche, L. B. Pierdomenico, Il Comune di Tuscania e le corporazioni artigiane nel 1400, Tuscania, 1972, p. 17: “…piegati al suo volere e ai suoi destini la popolazione e l’esercito della città …”.

[3] Vedi il contributo al presente Convegno di G. Giontella, Angelo Tartaglia da Lavello, il suo “contratto di condotta” nella guerra dei senesi contro gli orsini di Pitigliano (1416-1417).

[4] Luigi Dasti, Notizie storiche archeologiche di Tarquinia e Corneto, 1878, p. 191.

[5] A. Di Chicco, 1990, cit., p. 52, il quale riporta la notizia dei cronachisti P. Dello Schiavo e P. di T. Montauri

[6] A. Di Chicco, 1990, cit., pp. 53-55. – Ariodante Fabretti, Braccio Fortebracci, in “Biografie dei capitani venturieri dell’Umbria”, v. I e II, Montepulciano, 1842-43.

[7] Su questa famosa battaglia che Claudio Rendina e altri ritengono dipinta da Paolo Uccello, sui modi di battagliare dell’epoca, i costumi e bardature, possono comunque ritenersi suggestivi i più famosi dipinti di P. Uccello, in particolare la Battaglia di S. Romano, realizzata poco dopo l’epoca dei nostri personaggi e che comunque il pittore doveva ben conoscere.

[8] A. Di Chicco, 1990, cit., p. 59 e seg.