Madera Brannetti


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Preghiera

Credo che la preghiera sia l'elevazione dell'anima a Dio…Perciò l'anima quando prega non deve fare altro che lasciarsi penetrare da Dio, rimanendo il più possibile alla sua presenza…
ì scriveva Madera il 31 gennaio del 1980. E voleva dire che la preghiera consiste in un tratto intimo con Dio, in cui l'anima cerca la sua presenza per intrattenersi affettuosamente con Lui. Come il figlio che vuole intrattenersi con il padre suo, o come l'amico che vuole intrattenersi con l'amico.qualsiasi forma assuma, la vera preghiera non ha nulla di complicato e di costretto: è il respiro dell'anima che ama il suo Dio, è l'atteggiamento del cuore che tende a Dio e che sa che ogni bene ed ogni aiuto viene da Lui. E intesa in questo modo la preghiera è sempre possibile, in qualsiasi momento e in qualsiasi circostanza; anzi per un'anima che ami il Signore sarebbe impossibile interromperla, come sarebbe impossibile interrompere il respiro.'orazione non è, quindi, che un fatto di amore ed è inesatto pensare che non si abbia orazione se non quando si disponga di tempo e di solitudine. Con un po' di attenzione possiamo accumulare grandi ricchezze anche allora che con travagli di vario genere il Signore ci toglie la possibilità di pregare secondo formule stabilite.preghiera infatti è anche l'azione giornaliera fatta con Lui, il dolore sopportato con gioia per Lui, la comprensione e l'aiuto dato al fratello, il superamento dello scoraggiamento e della tristezza, i brevi momenti di gioia goduti con Lui. In ogni giorno non dovrebbe mai mancare questo bagno salutare per dare a Dio la nostra doverosa adorazione e ricaricare la nostra batteria.il lavoro, che spesso diventa occasione di disagio e di irrequietezza, può essere trasformato in preghiera, quando riusciamo a santificarlo, instaurando con l'attività che si compie, un rapporto sereno, senza soffrire noia o monotonia.però la preghiera è una cosa così apparentemente semplice, non è sempre facile pregare e pregare bene.
“Quando pregate - dice Gesù - non fate come gli ipocriti…”.bisogna soffermarci sul valore di quel quando, non è una preposizione temporale, ma condizionale. E vuole dire se avvenga che preghiate. ò vuol dire che la preghiera non è una cosa che va da sé, ma costituisce per noi un avvenimento che si verifica allorché sussistano determinate condizioni. Perché il guaio è che nelle nostre preghiere, in quelle che noi riteniamo tali, noi parliamo di Dio e non con Dio, nel senso che se preghiamo per una situazione oggettiva che ci è capitata, noi ci mettiamo a discutere sulle ragioni per le quali Dio l'ha permessa. E se noi nella preghiera parliamo di Dio, e trasformiamo Dio in un argomento, in un tema secondario, dopo qualche tempo, allorché siamo presi e sopraffatti da altri problemi ben più importanti ed impellenti, come il posto di lavoro, la stanchezza, il nervosismo, noi ci volgiamo a questi temi e a questi argomenti e non accettiamo con serenità la volontà di Dio.


preghiera è sì un atto di amore, ma è anche una supplica, un chiedere le cose che ci mancano, un esporre le nostre necessità; ma questa preghiera - ci domandiamo - che senso ha e quale efficacia può avere dal momento che Dio sa già tutto, ha sempre sotto lo sguardo la situazione degli uomini e non ha bisogno che gli sia descritta, e conosce quel che è bene per loro e ha deciso fin dall'eternità i suoi interventi. Egli certo non muta consiglio per suggerimento di chicchessia, né si lascia strumentalizzare. Ebbene se così stanno le cose che valore ha questa preghiera?che abbia un valore, se ci rivolgiamo a Dio con l'umile sottomissione di chi chiede, ma nello stesso tempo accetta di fare la sua volontà.
“Passi da me questo calice, ma sia fatta la tua e non la mia volontà”.
Così prega Gesù nell'Orto degli Ulivi.E.M.Rilke: “Gesù ha detto: Bussate e vi sarà aperto. Chiedete e vi sarà dato Ma a che ci serve questo telefono, che si chiama Gesù, nella cornetta del quale gridiamo continuamente: Pronto!e nessuno risponde? Ma siamo sicuri di aver fatto il numero giusto? O non è che abbiamo fatto il nostro numero? Ecco perché nessuno risponde.”noi facciamo il nostro numero, quando nella preghiera pensiamo a noi stessi: al pane, alla carriera, ai soldi, alla salute. Non pensiamo a Colui alla cui misericordia e alla cui potenza dobbiamo lasciare la libertà di intervenire come crede per il nostro bene. Noi non abbiamo bussato, non abbiamo pregato; abbiamo preteso, abbiamo detto a Dio in modo dettagliato come se Dio fosse un povero ritardato, in che modo si sarebbe dovuto comportare. E questa non è preghiera.questo proposito ben aveva visto Madera. Infatti il 31 gennaio del 1980 così scriveva:
L'uomo crede che la preghiera sia essenzialmente chiedere a Dio qualche cosa, o meglio, sia dire a Lui ciò che deve fare, e spesso nel pregare per noi o per una persona cara facciamo tutto un bel programma.? Fa' così! Leva lì! Dammi questo! Dagli quello! Sembra proprio che i grandi cervelloni siamo noi e che ci rivolgiamo ad un povero ritardato che ha bisogno della nostra imboccata per sapere come si deve comportare per il nostro bene.l'impressione, pregando così, che accada quello che accade alla madre che dica al figlio, ormai adulto, come comportarsi nelle varie circostanze e soprattutto debba parlare dandogli l'imbeccata. Credo che la prima disposizione della preghiera, o meglio, che la preghiera sia l'elevazione dell'anima a Dio, perciò l'unico modo giusto sia proprio questo: purificarsi col chiedere perdono. L'uomo, che è pieno di contraddizioni di bene e di male e che si vuole mettere a contatto con il suo Dio, con il suo Creatore, con il trascendente, si metta con tutta umiltà alla sua presenza. Come il piccolo fiore si offre al bacio del sole, come l'oceano alla luce, come il deserto al calore, come tutta la natura è attratta dal sole, poiché è Lui l'unico sole che può illuminare l'uomo, riscaldarlo e ristorarlo. Perciò l'anima quando prega non deve fare altro che lasciarsi penetrare da Lui, rimanendo il più possibile alla sua presenza, proprio come si fa il bagno di sole: si sta lì e basta, il sole sa cosa deve fare, non occorre che glielo diciamo noi; la sua potenza ci penetra, ci ristora, ci illumina ci dà una grande pace. Basta recitare poche parole del Pater noster, per esempio: Padre nostro che sei nei cieli sia santificato il tuo nome. Pensare a questo, alla presenza di Dio e basta. I nostri cari o le nostre pene farli sfilare una per una come se si facesse la presentazione di persone o cose al Re. Poi basta. Lui sa il meglio da farsi: fare uscire tutto e tutti e rimanere soli nella sua sola compagnia per fare questo magnifico bagno di sole.


“Basta recitare poche parole del Pater noster” E' il pensiero di Santa Teresa d'Avila: “Ci sono persone talmente attaccate a recitare preghiere e le recitano così in fretta da far credere che siano obbligati a recitarne un dato numero ogni giorno e che cerchino di soddisfare prestamente il loro compito. Ma voi guardatevi dal fare così. Vale più una sola parola del Pater noster detta di quando in quando che recitarlo intero molte volte e in fretta.”
farci capire la preghiera, il suo valore, la sua capacità di smuovere il cuore di Dio, Madera ci portava tanti esempi. Una volta paragonò la preghiera ad un missile che viene lanciato contro un bersaglio.
“Dio- diceva risponde sempre alle nostre preghiere. Se non risponde si vede che la nostra preghiera conteneva una richiesta fasulla o non aveva raggiunto il cuore di Dio o non era preghiera. Perché pregare è fidarsi di Dio, sicuri che come Padre non può non volere che il nostro bene. Dio risponde sempre, ma non subito, perché l'avverbio non si trova nel vocabolario di Dio e poi Dio risponde non alle nostre richieste, e che spesso più che richieste sono pretese, ma ai nostri bisogni, soprattutto spirituali. E se il missile (la preghiera)si è perduto per strada e non ha centrato il bersaglio, la ragione va ricercata nel fatto che il propellente non era idoneo a dargli la spinta sufficiente. Perché il propellente che spinge la nostra preghiera a forare le nuvole e a raggiungere il bersaglio, il cuore di Dio, è qualcosa di nostro. E cos'è che abbiamo veramente di nostro? Una cosa sola: il dolore. Solo se la nostra preghiera è accompagnata dalla sofferenza arriva al trono di Dio. Altrimenti si perde per strada.
espresso l'8 gennaio del 1966:
Il dolore è il mezzo più sicuro per esprimere a Dio il nostro amore, la nostra adesione alla sua volontà, la certezza che la nostra preghiera attraverso di esso arrivi fino a Dio, come l'incenso che, bruciando e distruggendosi, salisce al cielo.
Tante volte - osservava ancora Madera - preghiamo per le persone a noi care, per alcune persone che ci stanno a cuore e ci accorgiamo che la nostra preghiera soffre di aridità. E' come se andassimo a cozzare contro un muro di cemento, granitico, che non subisce la più piccola scalfittura. Ma allora - ci domandiamo - Dio non ci ascolta?. Sì, Dio ci ascolta, ci sente, ma rimane sordo, distaccato dalle nostre richieste, anche se fatte col cuore, con la passione di chi chiede con umiltà e sottomissione una cosa veramente buona. Dio rimane muto ed insensibile alle nostre richieste, perché vuole che la persona, per la quale chiediamo con fede e con insistenza qualche grazia, sia disponibile all'intervento di Dio, disponibile e aperta e umile ad accettare che Dio compia in lei quel bene che noi chiediamo con tanta fede e insistenza. in questo caso quello che accadde a Nazaret quando il Signore non poté fare miracoli per l'incredulità e la durezza del cuore dei suoi concittadini: quella incredulità aveva impedito alla potenza taumaturgica del Signore di compiere i miracli che aveva compiuto altrove.

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