Madera Brannetti


Vai ai contenuti

Menu principale:


Convivialità

“Ho incontrato un'ammalata? Se l'uomo è solo principalmente corpo, dirò di sì; se è principalmente spirito, dirò che ne vorrei incontrare tanti, tutto il mondo in tale stato.”
Don Alfredo Vitiello
Così scriveva nell'agenda di Madera, nel settembre del 1975, un sacerdote che, insieme ad una famiglia di Nettuno, era venuto a farle visita.
Era bastato un breve incontro a questo sacerdote per capire quale era la nota dominante del carattere di Madera: vivere, sempre, anche nella sofferenza, la letizia francescana. Quella letizia che è capace di possedere la grazia dello stupore; di trasalire di fronte alle piccole gioie che si incontrano nella giornata, e la forza di ravvivare lo spirito con le piccole cose di sempre.
E nella realtà era proprio così.
Anche quando era costretta a rimanere immobile nella poltrona, con i piedi ingessati o racchiusi nelle docce, aveva sempre qualcosa di creativo da fare: dipingeva, intagliava, costruiva oggetti con una inventiva particolare. E proprio questo non mollare mai davanti alla malattia e al dolore, questo non ripiegarsi su se stessa e partecipare agli altri questo suo amore alla vita era l'esempio più chiaro della sua convivialità.
Aveva - l'abbiamo già detto - un carattere molto espansivo e quasi sentiva la necessità di avere tanti amici attorno a sé, e non passava festa in cui non ci radunassimo per poter stare insieme, piccoli e grandi, per assaporare una convivialità serena attorno alla sua forza aggregante.
Perché il giorno di festa era per lei quello che la festa veramente è: un'esperienza comune di gioia, un canto d'azione di grazie. Perché lo stare insieme, e soprattutto il mangiare insieme, ha la capacità di ridonare la speranza del tempo e la forza per vivere le sofferenze e le difficoltà della vita quotidiana.
Non so chi l'abbia detto, ma credo che sia vero: se Giuda fosse rimasto fino alla fine della cena forse non avrebbe tramato il tradimento.


Anche se malata, aveva il gusto della vita, dono di Dio, perché sapeva assaporare e valorizzare - come ho già detto - soprattutto le piccole cose.
Perché in effetti la vita, quando manca la speranza e la meraviglia per il domani, è una vita piatta che va verso un epilogo che non arriva mai “come un nastro magnetico che ha finito una canzone e si srotola senza dire più nulla verso il suo ultimo stacco”.

Se gli anni scorrevano, uno uguale all'altro, e lei, malata e inchiodata nella poltrona, era costretta a rimanere chiusa in casa, questi anni però si ravvivavano per lei con le feste liturgiche, che segnavano delle tappe attraverso le quali gioia e dolore, serenità e tristezza si alternavano in una perfetta simbiosi.
Quando cominciava l'Avvento costruiva un candeliere a quattro bracci sui quali poneva quattro candele rosse che accendeva, una dopo l'altra, quando il sacerdote le portava la comunione nelle quattro domeniche che la separavano dal Natale.
E con quanta cura addobbava la stanza nella festa della Immacolata, dopo aver messo, nel posto d'onore della sua camera la statua della Madonnina che per tutto l'anno teneva nello studio.
In verità la sua stanza sempre era tappezzata di immagini sacre; e a chi le faceva notare l'eccessivo numero di quadri raffiguranti il Signore o la Madonna rispondeva che “gli innamorati - come diceva San Francesco di Sales - hanno sempre i pensieri rivolti verso l'amata o l'amato; hanno il cuore riboccante di affetto per lui o per lei, non perdono occasione di manifestare il loro amore e incidono sopra la corteccia di ogni albero il nome della persona amata. Del pari coloro che amano Dio non possono tralasciare di pensare a Lui, di parlare di Lui e, se fosse possibile, vorrebbero scolpire sul petto di tutte le persone il santo nome di Gesù”.
Perciò quelle immagini le voleva lì, accanto a lei, anche se numerose, come immagini di persone tanto care.
E non solo di immagini sacre la sua stanza era tappezzata, ma anche di una infinità di regali, di gingilli, di ninnoli, anche preziosi, che le erano stati regalati dalle persone care nelle varie ricorrenze o, come presenti, dalle persone che erano venute a farle visita. E di tutti questi oggetti aveva una cura scrupolosa: li esponeva sui vari mobili in certe circostanze particolari o in certe ricorrenze, e non per amore dell'oggetto in sé, ma perché dietro ogni oggetto c'era una storia, c'era una persona, c'era un volto.
E fino alla fine della sua vita non s'è privata di nessun “regalo”, perché per lei sarebbe stato come tradire la persona che glielo aveva donato.
La novena del Santo Natale la celebrava insieme alle persone care con un semplice, ma sentito rito domestico.

Ma la sua convivialità si esprimeva in un modo tutto particolare nelle feste del Santo Natale

Quando mancavano una decina di giorni al Santo Natale iniziava l'allestimento dei tanti presepi che possedeva: presepi artistici, di legno, di gesso, di cristallo, di carta, fatti dalla sua vena artistica o regalati da amici o conoscenti che sapevano e conoscevano la sua predilezione per questa tradizione.
E diceva che in ogni casa doveva esserci il presepe, simbolo del grande amore di Dio per gli uomini.
E da tutte le stanze nelle quali aveva allestito i vari presepi emanava come una strana magia; sembrava che in quella casa non abitasse solo lei, ma ci fosse la presenza mistica e magica di qualcosa di soprannaturale.
Il presepe- diceva - appartiene ad un tempo che è fuori del tempo: in esso tutti, soprattutto gli anziani, rivivono la magia della propria infanzia.
Le feste del Natale poi raggiungevano il momento culminante nel giorno dell'Epifania, quando sul far della sera ci ritrovavamo tutti a casa sua per deporre i vari Bambinelli dei presepi e soprattutto il Bambinello di cera, che le suore, dopo che l'asilo era stato distrutto dal terremoto, le avevano regalato, il Bambinello che si svegliava e poi si riaddormentava al suono del carillon. Colui che, secondo una specie di classifica stilata da lei in base agli esami mensili, ai quali ci sottoponeva per verificare se quanto promesso all'inizio dell'anno era stato rispettato, era risultato primo, aveva l'onore di tenere il Bambinello di cera ed apriva la piccola processione che si svolgeva attraverso tutte le stanze. Avanti lei, Madera, che era la vera artefice e regista e noi dietro a cantare “Tu scendi dalle stelle.” Quel calpestio domestico di noi tutti in corteo, quel buio punteggiato da tante candeline accese, quelle voci stonate ma vere costituivano un rito che affascinava, soprattutto i più piccoli, rito che poi si concludeva con una preghiera che era insieme un ringraziamento dell'anno trascorso e un mettere nelle mani di Dio l'anno che doveva venire.
La settimana Santa la viveva intensamente come se si trovasse presente alla passione del Signore.
La Domenica delle Palme ci diceva:
Io vado a Gerusalemme. Dio ha bisogno che qualcuno gli stia vicino.
E in tutti gli altri giorni della Settimana Santa il suo raccoglimento, il suo modo di fare, la sua stessa stanza, nelle suppellettili e nelle cose che toglieva o metteva, rispecchiava questa viva, intensa partecipazione.
E la Domenica di Pasqua la stanza si riempiva di fiori, metteva il vestito bianco, e ogni cosa attorno a lei assumeva l'incanto della letizia pasquale. E quando andavamo a darle gli auguri, ci accoglieva con il saluto che i primi cristiani si scambiavano nel giorno di Pasqua: Il Signore è veramente risorto! Alleluia
!
Anche il mese di maggio aveva una solennità particolare.
Don Umberto Venturini, parroco di Barbarano Romano, nel ristrutturare la chiesa aveva trovato una tegola sulla quale era stata dipinta un'immagine di Madonna che però per il tempo e l'umidità aveva perso i suoi colori e l'immagine si conosceva appena. Sotto la supervisione di Madera l'immagine era stata riportata agli antichi splendori. Don Umberto per sdebitarsi aveva fatto stampare sopra una tela l'immagine e l'aveva regalata a Madera. E questa tela dopo essere stata incorniciata l'aveva posta nella sua stanza e il primo maggio don Umberto l'aveva consacrata con il titolo di
Madre dellanostra famiglia E Madera per l'occasione aveva composto questa preghiera.
Vergine bellissima, ripiena di ogni virtù e grazia, in te la Trinità si compiace, gli angeli rimangono estasiati e noi figli tuoi, incantati, ci avviciniamo a Te. Aiutaci, o Madre, ad imitarti nell'umiltà, nella purezza, nella carità, nella fede, nella fiducia illimitata in Dio. Fa' che la nostra giornata sia vissuta sempre cristianamente nella piena coerenza di genitori e di sposi, poiché oltre che dei nostri cuori Tu sei la Madre della nostra famiglia. A Te affidiamo tutto sicuri della tua intercessione di noi presso Dio.
Perché veramente grande era l'amore e la venerazione che rivolgeva alla Madonna. Ed ogni festa la celebrava con una partecipazione particolare, perché
- sempre ripeteva - non domandar che festa sia, quando senti nominare il nome di Maria.

Il 2 febbraio del 1966 scriveva:
La Madonna. Al pensare a Lei fa bene al cuore. Ho paura di non amarla abbastanza, tanto lo vorrei. Pensando a Lei, subito mi viene presente la sua dolcezza, l'umiltà, la purezza, tre virtù che si compendiano in una, perché sono caratteristiche sue che la delineano perfettamente. E' la creatura più bella, meravigliosamente bella, che qualunque santa al suo confronto impallidisce; se fossi stato uomo non avrei potuto amare altra donna che Lei (come m'è accaduto che, essendo donna, non ho potuto amare altri che Gesù).
Specchio purissimo di Dio, cristallo terso, tabernacolo vivente. Madre dolcissima per Gesù e per noi. Sposa amorosa e intemerata; tutti possiamo avvicinarci a Lei per ricevere esempio e conforto, perché Lei è creatura come noi, arrivata ai nostri più audaci desideri, punto fermo per chi comincia e per chi finisce.
Nella stanza attigua alla sua, teneva una piccola statua della Vergine Immacolata. Questa statua, piuttosto malridotta, le era stata regalata, e lei, dopo averla restaurata, l'aveva posta sopra un mobile e l'aveva fatta oggetto di delicata devozione. Ogni persona che veniva a trovarla, prima che se ne andasse, Madera la portava davanti alla piccola statua di Maria e invocava su di lei la protezione. E accadeva anche per noi. Ogni volta che dovevamo metterci in viaggio o che dovevamo fare qualcosa di importante c'era sempre la preghiera con la quale ci metteva sotto il manto della protezione della Madonna e così noi ci sentivamo più tranquilli e sicuri
Tante nel corso dell'anno erano le occasioni per ritrovarci insieme: compleanni, onomastici, feste liturgiche…; ogni occasione era buona per poterci ritrovare insieme, come una famiglia nella quale si poteva assaporare tanta pace e allegria. Ogni azione veniva santificata e ricondotta alla gloria di Dio. Qualsiasi attività si faceva in comune, si apriva sempre con la formula: Tutto a gloria di Te, mio bene immenso, quel che faccio, quel che dico e quel che penso.
Era, in fondo, la parafrasi, direi quasi scherzosa, ma non per questo meno vera ed ortodossa di quanto diceva San Paolo a Timoteo: “Tutto ciò che è stato creato da Dio è buono e nulla è da scartarsi, quando lo si prende con rendimento di grazie, perché esso viene santificato dalla parola di Dio e dalla preghiera.”
E il Qoelet non ci ammonisce che gioire della vita è un rendere onore a Dio?
Va', mangia con gioia il tuo pane;
bevi il tuo vino con cuore lieto;
godi la vita con la sposa che ami.

(Vade ergo et comede in laetitia panem tuum
et bibe cum gaudio vinum tuum
perfruere vita cum uxore qum diligis.
Qoelet: 9,7-9)

Home Page | Introduzione | Sofferenza | Preghiera | Tristezza | La formazione | Consacrazione | Vangelo | Convivialità | Padre Adalberto | Pensieri | 1938 | Testamento spirituale | Mappa del sito


Queste pagine sono state realizzate gratuitamente da Luigi Pica | toscanella@gmail.com

Torna ai contenuti | Torna al menu