I Patroni di Tuscania - Toscanella - Il blog dei tuscanesi

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I Patroni di Tuscania

Modi di vivere, tradizioni

I PATRONI DI TUSCANIA: VERIANO, SECONDIANO E MARCELLIANO

Numerosi e antichi martirologi fissano la date della decapitazione dei santi martiri Secondiano, Veriano e Marcelliano agli Idi di agosto del calendario romano, corrispondente al nove di quel mese. La tradizione fissa al 251 l’nno del martirio, durante la persecuzione dell’mperatore Decio, il quale aveva emesso l’rdine che in un giorno determinato tutti gli abitanti dell’mpero celebrassero una cerimonia sacra in onore degli dei.

Per raggiungere tale scopo erano state istituite in tutti i luoghi, persino nei paesi più remoti, delle commissioni che avevano il compito di assistere al rito del sacrificio in onore delle divinità e di rilasciare il certificato di sottomissione a tutti coloro che sacrificavano. Nei confronti di coloro che non si sottoponevano alle disposizioni imperiali si procedeva per vie legali che si concludevano con l’pplicazione della pena capitale.

In questa inquadratura storica vanno collocate le vicende dei Santi Martiri di Tuscania. Gli antichissimi Atti del martirio, custoditi in una pergamena conservata nel monastero di San Salvatore del Monte Amiata, sono forse una tardiva manipolazione improntata ad altri Atti di martiri e appartengono perciò più alle tradizioni e devozioni popolari che alla documentazione storica.
Gli Atti asseriscono che Secondiano era letterato e filosofo, mentre Marcelliano e Veriano erano ufficiali di prefettura. Dopo la loro conversione al cristianesimo essi avevano ricevuto il battesimo da un prete di nome Timoteo. Scoppiata la persecuzione si rifiutarono di sacrificare agli idoli e inutilmente il prefetto Valerio Massimo e lo stesso imperatore Decio cercarono di indurli a rinunciare alla fede per aver salva la vita.


Trattandosi di personaggi di riguardo furono allontanati da Roma per evitare lo scandalo di un pubblico processo e vennero trasferiti nella località di Cencelli, dove il console Promoto li sottopose a tormenti. Successivamente furono inviati a Colomacio o Colonia, luogo di cui ora si è perduta la memoria. Lì essi furono soggetti alla decapitazione e i loro corpi vennero gettati in mare. Le spoglie dei martiri, rigettate dalle onde sulla spiaggia, furono rinvenute da un cristiano di nome Diodato, che le seppellì vicino al luogo dove era avvenuto il martirio. Nel 322 alcuni anni dopo la proclamazione della libertà religiosa fatta dall’mperatore Costantino, i corpi santi furono esposti alla pubblica venerazione in Cencelli.

Nel 648, in conseguenza dell’abbandono in cui era caduta la località che custodiva i resti dei martiri, il vescovo di Tuscania Valeriano decise di trasferire i corpi santi nella sua sede. Il fatto lascia giustamente supporre che la giurisdizione del vescovo tuscanese fosse allora molto ampia e che includesse nel suo territorio anche Cencelli.

La tradizione popolare, infiorando il fatto storico con tarde aggiunte suggerite dalla devozione comune, narra che parecchi luoghi si disputavano il possesso delle reliquie. Il vescovo Valeriano, per porre fine a quelle rivalità, dispose che venisse preparato un carro trainato da due giovenche e che le sacre spoglie rimanessero nel posto dove le giovenche si sarebbero fermate. Queste attraversarono il Marta, si diressero verso Canino e per Tessennano e Arlena raggiunsero il territorio di Tuscania. Salirono quindi fino alla cima del colle di San Pietro, dove conclusero il loro lungo percorso. I cittadini corsero in folla a venerare i Santi Martiri che d’llora divennero i Patroni della città.


Le reliquie dei Santi Martiri, deposte nella cripta di San Pietro, furono oggetto di continua e fervida devozione. Il giorno della festività, fissato per antichissima tradizione all’ agosto, veniva celebrato con grande solennità e con il concorso di tutta la popolazione che riconosceva nei Santi Martiri dei modelli di fede da imitare e dei Patroni dai quali veniva implorata la protezione per la salvezza della città, per il lavoro e per la floridezza dei campi.


Anche l’rte concorse efficacemente a conservare e a tramandare la devozione verso i Santi Patroni. Un affresco trecentesco della cripta, attribuito a Gregorio e Donato di Arezzo, raffigura i Santi Martiri nel luogo stesso dove erano riposte e venerate le loro spoglie. Le antifone dei Patroni, che venivano cantate durante la solennità annuale erano trascritte in antiche e grandi pergamene miniate. Il braccio di San Secondiano è custodito in un reliquiario, la cui parte superiore, formata da una mano, risale al secolo XIII, mentre la base cilindrica, lavorata a sbalzo e cesello, è opera del maestro argentiere Flavio De Alessandris, nato a Narni nel 1668 e attivo a Roma e a Napoli. Nella grande tavola esposta sopra l’ltar maggiore della chiesa del Riposo il pittore Pierin del Vaga, discepolo di Raffaello, nei primi anni del secolo XVI ha raffigurato la Vergine tra i Santi Martiri.


Nella tavola di Santa Maria della Rosa verso la fine dello stesso secolo Pierino d’melia ha ripetuto con poche varianti le figure dei Santi dipinti nella tavola del Riposo. In un frammento di affresco della chesa della Rosa la Madonna e il Bambino hanno ai lati San Pietro e San Secondiano. Nella cappella del Santissimo Sacramento nel Duomo, destinata in origine ad accogliere le reliquie, figurano tre quadri con la rappresentazione delle scene del martirio.

Il ricordo del trasporto delle reliquie è testimoniato dalla cappelletta con le immagini dei Santi Patroni che sorge sulla via che porta alla chiesa dell’livo. Ricostruita nel luogo attuale circa cinquant’nni or sono, essa sorgeva prima dal lato opposto della via. Conforme alla testimonianza dello storico Giannotti essa era stata restaurata verso la fine del 1500 e sulle pietre della strada, di fronte ad essa si potevano osservare ancora le tracce che, secondo la tradizione popolare, aveva lasciato il carro durante il trasporto delle reliquie dei Martiri.


Un documento del 1223 informa che il 7 agosto, vigilia dei Santi Patroni, i signori dei castelli di Piandiano, Cegliano, Manziano e Castel Lardo erano obbligati a portare dei ceri che dovevano essere posti nella cripta accanto all’ltare di santi. Questa offerta doveva essere fatta in forma pubblica e gli inadempienti erano soggetti al pagamento di 40 scudi. Ai proprietari dei castelli di Carcarella e Ancarano veniva fatto obbligo di inviare l’lloro che serviva per fare i festoni all’ngresso del tempio nel giorno della festa. Il Consiglio della città stabiliva la pena che doveva essere inflitta ai contravventori.


Un altro omaggio veniva fatto dagli abitanti di Canino per mezzo dei loro pubblici rappresentanti. Essi dovevano offrire 20 scudi e un cero del peso di 10 libbre. Quell’fferta continuò anche quando Canino passò sotto il dominio di Pier Luigi Farnese. Questi a causa della povertà dei Caninesi chiese ed ottenne che il tributo venisse ridotto a 17 scudi annui. L’maggio di Canino veniva documentato ogni anno attraverso la stesura di un atto notarile.
L’ agosto la festa veniva celebrata con la processione del Capitolo e del Clero con la partecipazione del vescovo. Partendo dal Duomo il corteo si dirigeva alla chiesa di San Lorenzo dove forse nel secolo XVI erano state trasferite le reliquie dei Santi e in particolari ricorrenze veniva portata in processione l’rna con tutte le reliquie.


Dopo le vicende del terremoto del 1971 le reliquie trovarono temporaneamente accoglienza nel monastero delle Clarisse e dal 1983 ebbero definitiva sistemazione nella cappella del Sacramento del Duomo.


 
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