FU VERA CHIAMATA
 

Dal Palcoscenico al Monastero

Chi, stanco dalla lunga via, si ferma, anche
solo per pochi istanti, a caso o volontariamente, al Monastero S. Paolo in Tuscania, con quasi certezza avrà l'avventura di sentire note melodiose di un canto che sa di cielo; ma un tempo sapeva di mondo.
Dalla grata delle Clarisse ti giungono melodie che carezzano l'orecchio, fanno vibrare il cuore, elevano l'animo perché alla bellezza del canto sacro, all'amore che lo permea e lo pervade, si di sposa l'arte di una voce ben educata e brillante che ti dà subito la sensazione di trovarti a contatto con una persona che sotto l'aspetto canoro e musicale, e non solo per questi, è stata straordinariamente dotata da Dio, e che in tempi non recenti ha suscitato ovunque plausi e consensi.
Se prima di salire in questa oasi di pace, ti sei attardato a visitare la città ancora piena di rovine per il tremendo terremoto subito, mentre il tuo animo è pieno di tristezza per il cataclisma della natura e per la lentezza dell'opera restauratrice dell'uomo, questo canto che si eleva al cielo ti apre nell'animo affranto novelle e più sublimi speranze. Ancora una volta la voce orante di una suora di clausura ti disincanta dalla terra e ti trasporta «in più spirabil aere».
Suor Maria A, ammantata di umiltà, di nascondimento, sa di non cantare più per la gloria mondana.
Certa di non essere notata e scoperta, canta con l'entusiasmo dei tempi della giovinezza, con un amore sempre rinnovato e possente, raffinata, sublimata dai dolori di un corpo martoriato, eleva limpida e bella la sua voce a Dio.
Quando nel 1953, il 14 maggio, si spogliava delle vesti dell'egocentrismo e della gloria vana, novello Francesco, indossava l'abito dell'amore a Dio e al prossimo, la mondanità perdeva un'artista, il mondo guadagnava un'apostola.
Se le monache di clausura non sono, come sembrano, degli esseri chiusi, anche se reclusi, aperti al mondo anche se da esso distaccati, amano, pregano e cantano l'amore di Dio ai fratelli e dei fratelli a Dio.
Suor M. A lasciava gli applausi, i fasti, le glorie per sé, per elevarle a Dio, per riversarle sugli altri.
Il quotidiano « Il Tempo» del 23 aprile 1953 scriveva: « Alla signorina, l'usignolo tanto applaudito nell'esecuzione delle belle canzoni italiane che, con la sua meravigliosa voce, ha fatto vibrare nel cuore dei presenti alle belle serate nei vari teatri sempre gremiti di pubblico, il vivo, caldo elogio e l'augurio di sentirla più spesso ». E ancora: « La signorina, voce calda, appassionata,
timbro argentino, colorito da espressive modulazioni, ora trillo di allodola, ora zampillo di sor- giva montana ».
Certo, raccolto nella Chiesa del Suo Monastero, mentre tutte le sposine di Cristo cantano, sentire lo stacco della Sua melodiosa voce, mi par di rivivere la Chiesa di Polenta:


«Una di flauti lenta melodia
passa invisibil tra la terra e il cielo: spiriti forse che furon, che sono
e che saranno?
Un oblio lene de la faticosa
vita, un pensoso sospirar quiete,
una soave volontà di pianto
l'anime invade.
Taccion le fiere e gli uomini e le cose

E in estasi anche tu, ripeti il canto che quieta l'alma e che ti eleva a Dio. Ora il Tempo...rale non scrive più per questa voce ammantata del velo del silenzio e del nascondimento. Di lei scrive e parla solamente l'Eterno.
Sac. ALFREDO VITIELLO Laureato in Teologia ed in musica