8. Il ritorno dei guelfi. - Toscanella - Storia di Tuscania

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8. Il ritorno dei guelfi.

Il periodo comunale

IL RITORNO DEI GUELFI. LA GUERRA NEL PATRIMONIO.

Intanto la guerra fra il Papa e Manfredi era questione di ore. I! primo aveva chiamato in aiuto, dalla Francia, Carlo d’Angiò e, nel Patrimonio, poteva contare su un rettore molto esperto: Guiscardo da Pietrasanta; mentre Manfredi, sempre nel Patrimonio, faceva affidamento sul prefetto Pietro IV di Vico e i tre indomiti fratelli "Signori di Bisenzo". Tuscania era con loro.

Forse fu proprio Guiscardo da Pietrasanta a far capovolgere la situazione tuscanese e a far crollare il potere ghibellino del podestà Albonetto. Di costui sappiamo poco, ma certamente si dovette adoperare per accrescere il prestigio della Città. Tra l’altro, nel maggio 1263, proprio lui inaugurò il magnifico palazzo Comunale, (i cui lavori erano stati iniziati durante il decennio ghibellino).

I! palazzo era stato edificato sul punto più alto del quartiere di Valle e prese il nome di palazzo "del Monte" (detto successivamente del Rivellino). All’inizio dell’estate, inaspettatamente, il guelfo signore di Rocca Glori, Giacomo di Pietro della Rocca, con la connivenza del capitano del popolo Nicola di Giacomo, mediante l’aiuto dei fuorusciti guelfi e del rettore del Patrimonio, Guiscardo, operarono un colpo di mano. Scacciarono i ghibellini e sbalzarono via il podestà Albonetto, che fu costretto a rinchiudersi nel suo castello, cinto d'assedio.

Giacomo di Pietro della Rocca fu acclamato podestà dai guelfi rientrati; Nicola di Giacomo rimase capitano del popolo. Tutti i ghibellini furono scacciati. Qualcuno riuscì a "convertirsi", come i due cugini signori di Castel Ghezzo, Oderisi e Ranuccio Cerasa, che riuscirono a mantenere le proprietà, ma la loro "conversione" dovette rivelarsi ben presto poco sincera.

Intanto gli eventi precipitavano. I tre fratelli "di Bisenzo", il 2 Febbraio 1264, in un’imboscata, avevano ucciso il rettore Guiscardo, che, prima di morire, era riuscito a colpire a morte Nicola di Piansano; gli altri due fratelli si erano dovuti rifugiare in Maremma, nel territorio aldobrandesco.

Papa Urbano IV, da Orvieto, incitò gli animi alla guerra. Manfredi, dal canto suo, incominciava ad inviare a Pietro di Vico i primi aiuti militari: nel marzo, un contingente di 600 cavalieri tedeschi, al comando di Francesco Troise, penetrò nel Patrimonio e si diresse verso Tuscania, accampandosi presso Castel Ghezzo. Qui i due Cerasa, Oderisi e Ranuccio, dopo il falso giuramento di fedeltà alla parte guelfa, erano divenuti nuovamente ghibellini, di conseguenza erano stati subito scomunicati e dichiarati eretici.
Essi accolsero Francesco Troise e i suoi cavalieri, i quali, il giorno dopo, riuscirono a congiungersi con le forze di Pietro di Vico.

Al divampare della guerra, i primi a rimetterci furono proprio i due cugini. Pippione da Pietrasanta (il nuovo rettore del Patrimonio) e Nicola Farnese (signore d'Ancarano) posero l’assedio a Castel Ghezzo.
Dopo qualche giorno l’espugnazione riuscì. La battaglia fu aspra. Nella mischia, Oderisi fu trucidato con numerosi suoi ghibellini; Ranuccio riuscì a fuggire e di lui non si seppe più nulla.

Intanto anche le milizie tuscanesi facevano la loro brava parte: da tempo tenevano l’ex-podestà Albonetto bloccato nel suo castello, in un assedio serrato. Ora i Tuscanesi avevano intensificato la stretta, decisi a farla finita, ma, incautamente, avevano lasciata la città senza un difensore. Pietro di Vico, avvertito della situazione, con i tedeschi di Francesco Troise marciò su Tuscania. Era la fine di giugno 1264. La città fu presa senza colpo ferire. Poi, con rapida mossa, egli piombò improvviso sull’accampamento dei Tuscanesi, che rimasero disorientati e vennero facilmente sopraffatti. Liberato Albonetto con la moglie Giacoma, Pietro se ne tornò nel suo castello di Vico, lasciando i poveri Tuscanesi spogliati di tutte le ricchezze.

Non conosciamo la fine di Albonetto, ma suo figlio, Giacomo e suo nipote Netto vissero a lungo nel secolo successivo a Tuscania, ricoprendo spesso cariche comunali.
Il ciclone della guerra, intanto si spostò verso Roma e, quando ormai, la situazione incominciò a mettersi male per Manfredi, Pietro di Vico preferì abbandonarlo e passare dalla parte del Papa, nell’esercito guelfo, che, a Benevento, il 26 febbraio 1266, distrusse la fortuna di Manfredi.

Accanto al cadavere di Manfredi fu trovato anche quello di Tebaldo di Pietro Annibaldi (il podestà di Tuscania nel biennio 1260-61), fiero ghibellino, morto senza mai tradire i suoi impegni. Carlo d'Angiò poté tornare vittorioso a Roma. Cavalcava accanto a lui Pietro di Vico.

 
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