4. La lotta per la sopravvivenza. - Toscanella - Storia di Tuscania

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4. La lotta per la sopravvivenza.

Il periodo comunale

LA LOTTA PER LA SOPRAVVIVENZA.

Agli albori del XIII secolo, l’aspetto politico della Tuscia non è dissimile da tante altre parti dell’Italia centro-settentrionale: i "Comuni" sono sempre in lotta fra loro, quelli grandi per soffocare i più piccoli, questi ultimi per poter sopravvivere ed esplicare la loro "vitalità comunale": Viterbo ed Orvieto, che cercano, appunto, di dominare, mentre gli altri comuni, come Tuscania, Corneto, Vetralla, Bagnoregio, Acquapendente, Bolsena e i castelli della Valdilago, lottano per salvaguardare la loro libertà.

A rendere le cose ancor più complicate, si inserisce, di tanto in tanto, il Campidoglio, che, ad ogni impresa, si impadronisce di un castello. Già ha fatto suoi Vitorchiano e Barbarano; ma, più di ogni altro centro, il Campidoglio cerca di colpire Viterbo, che è divenuta, con Orvieto, il fulcro della Tuscia ed incomincia, seriamente, a fargli ombra.
Anche i "Prefetti di Vico", una potente famiglia romana, che si è stabilita in Vico (sul lago omonimo) e ne ha fatto il suo centro ideale, si inseriscono nella lotta: ufficialmente i "Prefetti" di Vico vogliono solo tener alta la loro carica (un nome vuoto, senza alcuna pratica funzione), ma in realtà tendono ad ingrandire il loro dominio nel Patrimonio, ai danni della Chiesa e delle autonomie comunali.

In tutto questo intrecciarsi di interessi, il Papa Innocenzo III, da parte sua, fu più deciso che mai a mantenere la pace ad ogni costo.
Tra le tante sue iniziative, nel 1207 si recò personalmente a visitare le città e i castelli del Patrimonio, in un lungo giro di ispezione. Dal 15 al 22 ottobre si intrattenne a Tuscania. Certamente ebbe il suo da fare per placare il clero tuscanese, sempre sdegnato ed ostile per l’elevazione di Viterbo a diocesi equiparata a Tuscania. Quasi per bilanciare tale perdita di prestigio, Innocenzo III concesse dei fondi per il rifacimento della facciata della cattedrale di S. Pietro, attribuibile proprio a questi anni.

Il contrasto tra Tuscania e Viterbo, tuttavia, non tendeva a diminuire e, dal piano religioso, le reciproche invettive passavano spesso su campi di battaglia improvvisati.
Non si pensi, però, che si trattasse di vere guerre, come vorrebbero far credere i cronisti, perché raramente ci «scappava il morto», tutt’al più qualche contuso e diversi cavalli malconci.

Solo la preda era spesso consistente. Nel 1213, ad esempio, due Viterbesi subirono l’aggressione da parte di alcuni Tuscanesi, ma non ne conosciamo il motivo.
Le soldatesche viterbesi allestirono subito una spedizione punitiva e le suonarono di santa ragione ai poveri Tuscanesi: dopo averne depredato il territorio, presero un numero considerevole di prigionieri, che furono trascinati a Viterbo, legati alle code dei numerosi tori depredati.

A mettere le paci non ci riuscì nemmeno san Francesco, che tanto si prodigava, in quegli anni, a calmare gli animi divisi. Il Santo venne a predicare anche nella Tuscia e passò a Tuscania. Fu ospite di un nobile locale (forse un Ciglioni), che aveva il figlio storpio dalla nascita. Commosso dalle insistenti preghiere del padre, prostrato ai suoi piedi, san Francesco pose le mani sul corpo dell’infermo, che immediatamente si alzò e cominciò a camminare.

Le cronache degli anni successivi registrano poche notizie frammentarie, ma sempre dello stesso tenore, tanto che diviene quasi monotono raccontarle.
Gli animi però dovettero forzatamente placarsi, per l’arrivo di un male che sovrastò tutto: la furia dell’imperatore Federico II, scomunicato dal Papa. Le sue truppe, nel 1228, tennero in scacco e depredarono molte terre del Patrimonio, compresa Tuscania, fino ad Acquapendente.

Ma, passata la bufera, le lotte fra i Comuni ripresero più vive che mai: Viterbo contro Corneto, Viterbo contro Tuscania.

Alle guerricciole facevano séguito le paci solenni (bellissimo, e molto dettagliato, il trattato di pace fra Viterbo e Tuscania, siglato il 15 febbraio 1229), che, di lì a poco venivano regolarmente infrante, come accadde, appunto agli inizi del 1230.
I Viterbesi sono di ritorno da una aggressione ai danni di Corneto. All’altezza di Tuscania, vengono assaliti. La battaglia divampa.

I Tuscanesi indietreggiano lentamente e sono costretti a rifugiarsi dentro le mura, attraverso Porta S. Paolo, nel quartiere dei Castelli. Mentre la porta si sta chiudendo, i Viterbesi riescono a far prigioniero il vessillifero, che tiene stretto il gonfalone; qualcuno riesce perfino a strappar via le chiavi della porta. Continuare a combattere, ormai, non ha più senso. La lotta cessa. I Viterbesi si avviano, trionfanti, verso la loro Città.
Le chiavi saranno appese alla torre del podestà, Ugolino di Borgognone, mentre il gonfalone tuscanese sarà esposto nella cattedrale di S. Lorenzo.


 
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