1. Un piccolo “paese” con il titolo di “città”. - Toscanella - Storia di Tuscania

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1. Un piccolo “paese” con il titolo di “città”.

5 secoli di anonimato

1. UN PICCOLO “PAESE” CON IL TITOLO DI “CITTÀ”.

La ripresa di Tuscania fu rapida. I documenti dell’archivio riprendono dalla fine dell’anno dopo (1496), ma del sacco di Carlo VIII già non si trova più alcun cenno.
I secoli successivi presentano diversi fatti “di cronaca” ed hanno tutti lo stesso denominatore comune: una grande laboriosità e il desiderio di abbellire la “città”.

Un campanilismo sfrenato permea in questi secoli i “cittadini”. Sarebbe vano ricercare il nome di Tuscania senza che una volta sia preceduto dal titolo di “città”. Francesco Giannotti, alla fine del Cinquecento, scrive la prima “Storia della "città" di Tuscania”. Un grande amore traspare dalla sua opera, anche se spesso ci fa sorridere la continua ricerca del “grandioso e del meraviglioso”.

“Giannotti è un nome nuovo della borghesia tuscanese. Come la sua famiglia, ne sono venute alla ribalta molte altre, accanto a quelle vecchie quattrocentesche: i Ragazzi, i Brunacci, i Capogalli, i Fani, i Pocci, i Cavetani, i Ciotti, i Matuzzi, i Bonsignori, i Donnini, i Mansanti, i Benedetti; poi verranno.i Ricci, i Bassi, i Consalvi, i Turriozzi; infine (sec. XIX), i Campanari, i Luchetti, i Marcelliani, i Dottarelli, i Fiori, i Pasquali e tanti altri.

Nonostante che la “città” sia un anonimo e sconosciuto paese, la borghesia terriera di Tuscania sente ancora l’antica grandezza e vuole divenire nobile: nascono il “Patriziato Toscanese” e altri circoli nobiliari.

Qualche nobile arrivato per ultimo (sec. XVII) non sopporta il fatto di non poter vantare una antica discendenza “toscanese”; allora ha un’idea geniale: approfittando che può entrare liberamente nell’Archivio Comunale, utilizza con diligenza alcune pagine dei registri più antichi, copiando alcuni documenti cercando di imitare (in modo talvolta maldestro) la grafia del cancelliere comunale; ma nel copiare tali documenti, cambia i nomi: ad un Ciglioni, un Maccabei, un Pedonelli, sostituisce un antenato della propria famiglia, completamente... inventato! Ma, ora, può raccontare, al circolo dei nobili, che anche lui è di antica discendenza tuscanese.

Di chi si tratta? Beh! di Cesare Mansanti possiamo fare il nome, tanto, ormai, a Tuscania la sua famiglia non esiste più.

I nobili tuscanesi, in questi secoli, abbelliscono e rinnovano le loro case, demolendo, purtroppo, quelle medioevali preesistenti. Comunque anche essi costruiscono palazzi imponenti e artisticamente validi: Palazzo Giannotti, (ora sede dell’Istituto Professionale), Palazzo Fani, Palazzo Quaglia, Palazzo Fani-Ciotti, nel terziere di Poggio; Palazzo Consalvi, Palazzo Pocci, Palazzo Mansanti, Palazzo Donnini, nel terziere dei Castelli, dove di medievale resta solo il cosiddetto “palazzetto Maccabei” (che in realtà era, forse, la sede di una corporazione o di una banca); nel terziere di Valle, i Ciglioni “rovinano” il loro bel palazzo duecentesco, lì vicino sorge l’abitazione del cardinal Alessandro Farnese, il Rivellino viene abbandonato e il palazzo comunale si trasferisce in quello attuale (ex-palazzo del podestà, con la “Torre del Bargello”, crollata il 19 agosto 1954). Tutto si trasforma: l’architettura medioevale viene quasi cancellata.

Una grandiosa opera pubblica, costruita tra il 1614 e il 1621, è l’acquedotto della sorgente, detta la “disgrignata”, che da San Savino porta l’acqua, prima vicino alla Città, poi dentro le abitazioni (dei più facoltosi).

Con l’occasione si costruiscono alcune artistiche fontane pubbliche: le più belle sono quelle di Poggio e di Montascide, costruite tra il 1620 e il 1625 da uno degli architetti che lavoravano alla costruzione dell’acquedotto (Domenico Castelli da Roma); interessanti però sono anche quelle di S. Antonio, del Cavaglione e del Pigno.

Dopo il Giannotti, provano a scrivere la storia di Tuscania F. A. Barbacci e Sebastiano Dini, ma essi non pubblicarono mai i loro lavori.

Ci riuscì, invece, il primicerio della Cattedrale, Francesco Antonio Turriozzi: uno studioso preparato e laborioso, un vero figlio dell’Illuminismo.
Turriozzi ed altri letterati fondarono anche “l’Accademia dei Volonterosi”, di sapore arcaico e pastorale, trasfornata poi nell’Accademia degli Aborigeni.

Poi vennero Napoleone e il card. Ercole Consalvi. Racconta (una leggenda?) che, appena nacque a Tuscania il futuro cardinale fu portato di corsa a Roma dai genitori per essere battezzato e registrato come... cittadino romano: un tradimento che il “Patriziato Toscanese” non ha mai digerito!

Chi, meglio di ogni altro, ci può far conoscere esattamente
tutto il Settecento tuscanese, non sono le opere (edite e inedite) sopra accennate, ma un documento dell’archivio: la relazione della visita fatta a Tuscania da un ispettore “< visitatore”): Diomede Casimiro Caraffa di Colobrano.

Costui, nel 1761, era stato mandato in visita ispettiva a Tuscania dalla “Sagra Congregazione del Buon Governo” (oggi diremmo, dal Ministero degli Interni). Ebbene, la sua relazione finale è tutta una dura requisitoria contro il malcostume e le ruberie degli amministratori tuscanesi (finì in prigione anche il segretario comunale).

In un discorso serrato, che non dà tregua, il visitatore Caraffa spiega agli “Eminentissimi Cardinali” le cause del disordine amministrativo del Comune di Tuscania, ne mette a fuoco i mali cronici ed, infine, suggerisce seri rimedi pratici, per eliminare povertà e corruzione, con lucidità di mente e con una chiara visione “illuminata”, rivelando non comuni capacità di economista.

 
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