4. I podestà inviati dal campidoglio - Toscanella - Storia di Tuscania

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4. I podestà inviati dal campidoglio

La sottomissione al Campidoglio

4. I PODESTÀ INVIATI DAL CAMPIDOGLIO E LA NUOVA ESPANSIONE DEL DISTRETTO TUSCANESE (1305-1310).

Dopo la sottomissione di questi signorotti ed il recupero totale del territorio, scaturì, o per azioni estemporanee dei podestà o per suggerimento accorto del Campidoglio stesso, l’idea di procedere a nuove "conquiste territoriali", ampliando in tal modo "distretto" tuscanese.

La politica di espansione da parte del Campidoglio ora si faceva più viva che mai, perché dall’autunno del 1305, il Papa aveva trasferito la sede da Roma ad Avignone, generando nello Stato Pontificio un disordine amministrativo e politico, che, con il trascorrere del tempo, si andava aggravando sempre di più.

I rettori del Patrimonio, quasi tutti francesi, che il Papa inviava da Avignone, erano solo avidi di ricchezze ed incapaci di amministrare. E il Campidoglio ne approfittava.
Nel 1308, il podestà Stefano di Jacopino "de Camera de Judicibus" puntò ad un ingrandimento del distretto di Tuscania verso i castelli di Cellere e di Musignano, situati tra Canino e Valentano,

Del primo era signore Nicola di Ranuccio Farnese, mentre suo zio, Pietro di Ranuccio Farnese (Pietro di Campiglia), era signore di Musignano.
Il podestà tuscanese, Stefano, allestì un esercito e alla sua testa marciò contro i due castelli. Si trattava di una palese aggressione. Non fidandosi completamente sulle sue forze, Stefano chiese aiuti al Campidoglio e ricevette un esercito, guidato dal capitano Lorenzo di Sant'Alberto, che, per essere stato podestà di Tuscania tre anni prima, conosceva molto bene uomini e territorio.

Le forze congiunte di Romani e Tuscanesi, in breve, conclusero la campagna militare e i due Farnese dovettero giurare fedeltà a Tuscania (18 giugno 1308).
Canino non si era mai rassegnato a rimanere soggetto ai Tuscanesi. Dopo la grave ribellione del 1259, aveva provato a svincolarsi con una nuova rivolta, nel 1294, ma senza alcun risultato.

I fermenti di ribellione, però, non si erano mai sopiti ed ora i Caninesi, esasperati dalla prepotente politica espansionistica di Tuscania, cercarono di far divampare una nuova rivolta, nell’autunno dello stesso anno: per tutta risposta, ecco un nuovo esercito di Stefano di Jacopino; soccorso da un nuovo esercito inviato dal Campidoglio, guidato da Giovanni Pantaleoni.

Canino chiese una tregua: voleva astutamente spostare la battaglia su un piano giuridico. Fu scelto un arbitro: Guittuccio da Bisenzo.

Costui, quasi cittadino tuscanese, pronunciò il lodo arbitrale (e come poteva essere diversamente!) favorevole a Tuscania: Canino doveva continuare a fornire alla città 50 armati, ad ogni richiesta; poi ogni anno, il 7 agosto, per la vigilia dei SS. Martiri protettori, doveva inviare due "pallii" (uno del valore di 10 libbre, uno di 5) per le corse di cavalli, dell’otto agosto e di Carnevale; insieme ai "pallii" il procuratore caninese doveva portare un cero del valore di 10 libbre e depositarlo sull’altare della cattedrale di S. Pietro insieme alle credenziali, moltissime delle quali sono ancora oggi conservate negli archivi tuscanesi.

Tali consuetudini sono state sempre osservate fino alla metà del secolo scorso, quando veniva ormai portata dai Caninesi solo una piccola somma simbolica, in omaggio ai SS. Protettori, Secondiano, Veriano e Marcelliano.
Seguivano altre clausole relative all’uso del pascolo, del legnatico e dello spicatico. Tuscania, dal canto suo, promise solenne protezione verso il castello di Canino, contro qualsiasi aggressore.

Il lodo arbitrale di Guittuccio è del 6 marzo 1309, quando a Tuscania Stefano di Jacopino aveva terminato il suo incarico ed, al suo posto, il Campidoglio aveva già mandato un altro podestà: Lorenzo di Guglielmo da Roma. Se la sentenza di Guittuccio fu molto equilibrata (non vi furono mai più controversie rilevanti tra i due Comuni) lo si deve, forse, anche all’accortezza del nuovo podestà Lorenzo.

Costui si comportò da vero amico per i Tuscanesi, anche se va precisato che la sua politica, tendente a tenere alto il prestigio di Tuscania, era vantaggiosa soprattutto per il Campidoglio.

Lo stesso podestà, accompagnato da due ambasciatori Tuscanesi, si recò a Roma, verso la fine di luglio, per illustrare ai senatori, Tebaldo di S. Eustachio e Giovanni Stefaneschi, la situazione di Tuscania: il risultato fu che il 10 agosto venne spedito a Tuscania un "privilegio" contenente il riconoscimento dell’autonomia giudiziaria per le cause civili e criminali e l’esonero (forse temporaneo, ma il documento non è chiaro) di tutte le imposte dovute al Campidoglio.
L’opera di Lorenzo di Guglielmo non termina qui: egli si adoperò anche per abbellire la Città. A lui si deve la costruzione della bella Fontana delle Sette Cannelle in Piazza del Butinale (settembre 1309). La sorgente già esisteva; egli fece convogliare le acque in un ampio bottino, chiuso dall’ornamentale parapetto in nenfro, arricchito da sette mascheroni che gettano acqua. Ancor oggi si vede affissa l’epigrafe con il nome di Lorenzo e uno stemma con la sigla capitolina S.P.Q.R.

L’anno successivo, primavera del 1310, qualche noia venne dal Castello della Carcarella, ma il podestà, Paolo di Oddone di Egidio "de Rolfredo" da Roma, si rivelò all’altezza della situazione, non meno dei suoi predecessori e, in breve, riuscì a normalizzare la situazione, facendosi prestare il solito giuramento di fedeltà.

 
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