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La Storia del Giannotti/3

Dopo aver elencato i saccheggi che ha subito Tuscania per tutto il Medioevo, il Giannotti fornisce altri argomenti di rilevante interesse storico, come la dettagliata analisi della crisi dell'agricoltura e dell'allevamento del bestiame che, unitamente ad una opprimente tassazione, aveva ridotto allo stremo la popolazione tuscanese. Da una lettura frettolosa sembrerebbe che i continui riferimenti agli antichi scrittori derivino da semplici esternazioni erudite. In realtà le citazioni del Giannotti suscitano problemi che hanno impegnato, ed impegnano anche oggi, molti storici e studiosi. Mi riferisco, a titolo di esempio, alla individuazione della città di Corytus, citata da Virgilio nel canto IX dell'Eneide, la cui interpretazione, dal tempo di Servio Danielino ai commentatori attuali, non ha trovato pacifica soluzione. Ma la diatriba rientra nella più vasta questione di quella che gli specialisti chiamano antiqua mater, la cui ubicazione nella Tuscia viterbese, tra i fiumi Mignone e Marta (Larthe), sarebbe più coerente con il raggio di azione dell'epopea troiana, a differenza di Cortona (Arezzo), comunemente identificata con Corito. La identificazione di Corythus (Corito) ed il riferimento a Dardano ripropone la vexata quaestio del mito troiano sulle origini di Roma. Il poeta Virgilio adottò la tradizione secondo cui Dardano sarebbe nato a Corito, emigrato poi dalla penisola italica in Frigia, dove, sposando la figlia del re di Creta, avrebbe fondato la dinastia da cui sarebbero discese le famiglie di Troia. Tale leggenda appagava l'orgoglio nazionale dei Romani, presentando i Teucri non come stranieri invasori ma come popolazioni dalle antiche origini italiche, determinando nel poema virgiliano l'affannosa ricerca dell'antiqua mater da parte degli esuli troiani: il loro drammatico ritorno, cioè, alla terra del loro capostipite. Attualmente, l'intera questione è stata trattata con avvincenti e convincenti argomentazioni dallo storico Andrea Giardina che, in suo recente libro, ha dedicato un intero paragrafo alle Origini troiane e lo stile della storia romana. Giannotti cita poi il verso 597 dell'Eneide che suscita un altro dilemma ermeneutico. I commentari del poema virgiliano spiegano che il fiume presso Cere (Cerveteri) sia il Mignone, che chiamano "gelido" in riferimento al verso 610 che parla di "egelido flumine". In realtà il fiume Mignone non scorre affatto presso Cerveteri (distante più di trenta chilometri), ma nel territorio viterbese, sfociando presso Tarquinia. Giannotti e, prima di lui Annio, si erano accorti di questo mistero e spiegarono che quel fiume "gelido" doveva essere il torrente Freddano che, sorgendo e scorrendo nelle campagne viterbesi, si immette nel fiume Marta, in territorio tuscanese. Annio poi elabora altre teorie che esulano dai nostri obiettivi. Due noti commentatori dei sopra riferiti passi virgiliani si limitano a tradurre egelido flumine con le generiche parole "tiepido fiume" (E. Paratore), oppure "fresche acque" (G. Vitali), e non avrebbero potuto fare diversamente, di fronte ad un poema in cui l'aspetto mitico e fantastico si fonde in un ampio respiro poetico. In ogni modo è stato più volte ribadito che le cognizioni geografiche degli antichi scrittori erano molto limitate, infatti, oltre a Virgilio, basta citare il notissimo Livio il quale nel lib. X dice che un esercito era schierato nell'agro falisco, "non lontano da Roma": in realtà l'agro falisco è presso il lago di Bolsena a più di cento chilometri di distanza dall'Urbe! E così Plinio il Vecchio che chiama il lago di Bolsena "lago Tarquiniese": cosa impossibile perchè detto lago in periodo etrusco era nel territorio della lucumonia di Velzna e nel periodo romano faceva parte del territorio del municipium di Volsinium. Intanto, però, su questo svarione di Plinio storici poco raziocinanti hanno dedotto che l'agro tarquiniese comprendesse anche detto lago, includendovi anche l'agro tuscanese, cosa anche questa fantasiosa perchè Tuscana, nel periodo etrusco e in quello romano, aveva i suoi magistrati con una ben precisa competenza territoriale. Altre incertezze geografiche sono sorte sulla ubicazione del lago Vadimone: gli studiosi discutono se si trovasse presso Bassanello (Vasanello) o Bassano in Teverina. Stesse incertezze si riscontrano in Strabone, che pure era un grande geografo e in Plinio il Giovane quando parla della ubicazione della sua villa in Tuscis. Queste carenze hanno prodotto anche la macroscopica confusione tra Tuscia-Tuscana-Tuscania città e Tuscia-Toscana-Tuscania regione. Spetta al Giannotti il merito di aver sollevato per primo questa confusione. Il rilievo che solleva il nostro scrittore può essere formulato nel modo che segue: è possibile che tutte le centinaia di volte in cui gli antichi cronisti menzionavano il nome di Tuscia e Toscana, intendevano sempre riferirsi alla regione e mai alla città? Ci sarà stato il caso, almeno una volta, in cui essi avessero in mente di riferirsi alla città? Il quesito mi sembra legittimo da tutti i punti di vista, in considerazione che Tuscania nel periodo etrusco era un fiorente centro: lo attestano la vastità delle scoperte archeologiche e la presenza dei più alti magistrati. Inoltre ha fornito reperti artistici di indiscusso valore artistico, come quell'Adone morente che da Raymond Bloch è considerato un raro esempio "di indiscutibile forza creatrice". Ed anche nel periodo romano ebbe la qualifica di municipio, cioè di "città" governata dal senato e dai quattuorviri, che erano i più alti magistrati locali e dei quali si conserva ancora il nome, insieme a quello del decurione C. Copone Crescente. Nonostante queste evidenze, Tito Livio nomina località sperdute come come Cortuosa e Contenebra, ma di Tuscana non c'è traccia anche se nomina spesso Tuscia. Tuttavia Giannotti, molto saggiamente, avverte che la maggior parte delle storie di Livio è andata perduta. Ecco perchè molto spesso le testimonianze letterarie non collimano con quelle archeologiche.

GB. CORTESELLI SPOSETTI