Angelo Tartaglia da Lavello (1413-1421) La Signoria di Tuscania |
(Cliccare sulle note per visualizzarle) Pagina 6 di 6 Pagina precedente
|
A
coronamento dei propri successi e senza dimenticare le esigenze
diplomatiche Tartaglia dette la figlia primogenita Lavinia in sposa a
Giovanni, figlio di Muzio Attendolo Sforza (Introd., § 42) e
poco dopo, alla fine del 1420 dopo il matrimonio dell’altra figlia
Adriana con Aloigi di Luca dei Monaldeschi della Cerbara, si risposò
anch’egli con la giovane Agniesella, sorella di Aloigi e figlia di
Luca dei Monaldeschi della Cerbara, una importante famiglia di Orvieto.[1] Ma
la storia non si era fermata e mentre il nostro condottiero si
compiaceva con orgoglio dei propri successi, Martino V intervenne nella
lotta dinastica al trono di Napoli appoggiando Luigi III d’Angiò
contro Alfonso V favorito da Giovanna II, scatenando la guerra nel
napoletano (Introd., § 43). Nell’estate del 1421 il papa
ritenne necessaria la partecipazione alla guerra del Tartaglia[2]
il quale approfittò anche questa volta della chiamata alla guerra per
avanzare le sue richieste di conferma delle sue nomine. Accettandole,
l’8 settembre Martino V elevò Tuscania da vicariato a contea, e
Tartaglia divenne conte di Tuscania e altri centri vicini con
riconoscimento del titolo per i discendenti (Introd., § 44) e
riconferma degli altri suoi titoli.[3]
Alla fine dell’estate del 1421 Tartaglia dovette di nuovo lasciare
Tuscania per una guerra alla quale in fondo non voleva partecipare e
peggio ancora, doveva combattere contro Braccio, trovandoselo
nemico, per essere questi al soldo di Giovanna II. Tartaglia fece
base ad Aversa e affrontò quindi controvoglia il conflitto. Vero o meno
che ciò sia, la situazione gli fu avversa e fatale. Muzio
Attendolo Sforza riuscì a convincere Martino V che Tartaglia tradiva
gli interessi della Chiesa e il papa lo lasciò fare quello che da tempo
lo Sforza desiderava. Corse ad Aversa con mandato papale, arrestò
Tartaglia, lo fece torturare, processare, condannare e decapitare nella
piazza del mercato. A
Tuscania la notizia giunse come un terremoto, in pochi giorni la Comunità
si risollevò e in tanti, anche se non tutti, presero le distanze dalla
famiglia Tartaglia o rivendicarono beni e robe spogliandola in pochi
mesi di quasi tutti i beni conquistati,[4]
fino a chiederne l’allontanamento dalla città che fu accolta e la
decisione comunicata con missiva da Martino V il 16 agosto 1422.[5]
Così, nonostante gli estremi e vani tentativi del figlio Gaspare di
risollevare le sorti del proprio casato chiedendo aiuto ai vecchi amici
e in particolare a Giovanni Vitelleschi, si concludeva l’avventura di
Angelo Tartaglia da Lavello e finiva la sua Signoria.[6]
|
[1] Sulla controversa data delle seconde nozze del Tartaglia, oltre al presente Contributo di G. Giontella, vedi, Quattranni Antonio, a c. di, I Monaldeschi nella storia della Tuscia, Atti della giornata di studio, Bolsena 24 giugno 1994, Bolsena, 1995, p. 165 e pag. 175; in cui e riportato un passo dell’A.S.VT. Notarile di Bolsena, 9, 1417–20; dove leggiamo: “8 dicembre 1420, in presenza del vescovo di Montefiascone, il capitano Tartaglia di Lavello riceve 3000 fiorini d’oro da Luca di Berardo dei Monaldeschi della Cervara a titolo di dote per Agniesella figlia di Luca e sua futura sposa”. Doveva essere una numerosa famiglia quella del tartaglia. Non conosciamo il nome della prima moglie che dette al condottiero, sembra, sei figli: Gaspare, Lavinia, Adriana, Annamaria, Ambiglia, Galeotto e chissà chi altro. A Tuscania la famiglia dovette allargarsi ulteriormente, per il secondo matrimonio di Tartaglia, i matrimoni delle figlie e la presenza di altri parenti giunti da Lavello. Vedi anche G. Giontella, suo Contributo al Convegno. [2] A. Di Chicco, 1990, cit., pp. 79-82. [3]
Reg. Vat. 349, ff. 151 – 152. [4] Sulle rivendicazioni dei toscanesi nei confronti della famiglia Tartaglia vedi la narrazione romantica di Secondiano Campanari in Tuscania e i suoi monumenti, v. I, 1855, p. 211 e in La base di Angelo di lavello, in “L’Album”, 1855, p. 10. [5] S. Campanari, 1855/56, cit., v. II, p. 246 [6] L’ultima vera signoria a Tuscania e che ha lasciato forte ricordo di se in tanti monumenti e specialmente in quella torre che ancora campeggia nel centro storico di Tuscania, a memoria di vicende non del tutto ripudiate e di un condottiero che forse amò questa sua patria d’elezione. [In
queste note, che si aggiungono a quelle degli altri interventi al
Convegno, sono state fornite – con qualche inevitabile ripetizione
– sommarie indicazioni bibliografiche, sufficienti forse solo a
dare una idea della diversità, vastità, frammentarietà, e anche
scarsità, delle fonti e degli studi sul nostro personaggio].
|