Angelo Tartaglia da Lavello (1413-1421)

La Signoria di Tuscania

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ricchezza di particolari da diversi cronachisti e narratori dell’epoca e avvenne una mattina dei primi di novembre del 1417.[1]

            Ancora notte, dalla vicina Viterbo lo Sforza con 400 soldati corse velocemente verso Tuscania, dove giunse poco prima dell’alba. Il grosso dei soldati si nascose in un vallone e gli altri con il loro comandante si nascosero fra gli alberi lungo la strada che portava al quartiere di Poggio, dov’era il palazzo Tartaglia. Alcuni sodati dello Sforza simularono un furto di cavalli e soldati di guardia uscirono e si scontrarono con quelli. Altri soldati si allarmarono, fu avvisato Tartaglia. Questi capì che non si trattava di ladri, ma non comprese subito che si trattava di un pericoloso agguato. Radunò i soldati disponibili e uscì dalla città in aiuto ai suoi. Allora tutti i soldati dello Sforza vennero allo scoperto e senza nemmeno permettere a tutti quelli del Tartaglia di uscire dalla porta, inizio una violenta battaglia subito fuori le mura. Non appena i tartaglieschi capirono di essere caduti in una trappola incominciarono a ritirarsi, ma prigionieri tra gli sforzeschi e lo stretto passaggio del ponte levatoio su cui erano usciti, subirono l’attacco.[2] Tartaglia a stento riuscì a rientrare e quando fu chiusa la saracinesca della porta molti suoi sodati rimasero prigionieri dello Sforza, fra cui Donato da Lavello, fratello di Tartaglia. Altri si sfracellarono cadendo con i cavalli nel fossato di cinta. Ma nonostante ciò lo Sforza vide fallito il proprio tentativo di eliminare Tartaglia.

             Con l’elezione di Martino V a papa unico della Chiesa dopo anni di scisma, ripresero i giochi di potere, nell’attesa che il nuovo pontefice facesse le sue mosse. (Introd., § 41) E furono subito mosse forti: di ri appropriazione delle terre e di ristabilimento del potere papale, insomma di restaurazione del potere temporale della Chiesa e dell’autorità di Roma. Tartaglia nella sua veste incerta di Rettore, non tardò a capire che le cose per lui potevano mettersi male e che tutto quanto aveva di più caro: la sua famiglia, i suoi possedimenti tuscanesi  e i titoli acquisiti, potevano essere in pericolo. Infatti il papa, intenzionato a liberarsi dei capitani di ventura fattisi signori e a lui contrari, chiese aiuto alla regina di Napoli Giovanna II per sbarazzarsi di Braccio e Tartaglia. I primi scontri avvennero contro i soldati dello Sforza presso Viterbo nella estate del 1419 e sfociarono nella cocente sconfitta di Sforza.[3] Ma nonostante i successi, Tartaglia si convinse definitivamente della necessità di piegarsi a Martino V.

            Lavorò con diplomazia affinché il papa gli chiedesse di passare alle proprie dipendenze[4] con la promessa della conferma di possedimenti e titoli, ma Martino V non cedette a tali suggerimenti. Tartaglia dovette farsi sempre più preoccupato: non era più un giovane soldato spregiudicato senza nulla da perdere e tutto da guadagnare e conquistare. Fu così che il nostro condottiero insistette, ridusse le proprie pretese; venne a patti col papa senza apparentemente piegarsi troppo (Introd., § 42).

            Il trattato di alleanza è dell’11 settembre, il riconoscimento papale del 19 settembre 1419. Tartaglia con le sue 300 lance passava al soldo di Martino V per uno stipendio annuo di 39.000 fiorini e il riconoscimento del vicariato su Tuscania e le terre del circondario[5], ritrovandosi inoltre alleato di M. A. Sforza . Ma come si dimostrò in seguito questa alleanza non era altro che una mossa politico-tattica di Martino V che così facendo aveva intanto rotto l’alleanza tra Tartaglia e Braccio.  

Una delle insegne di Angelo Tartaglia, poste sulla Torre di Lavello a Tuscania

Allo stemma del Condottiero è affiancato, in minori dimensioni, 

quello del comune di Tuscania

[1] P. Giovio, Elogia virorum bellica laude, 1548; N. F. Faraglia, Storia di Giovanna II D’Angiò, 1904; A. Minuti, Vita di Muzio Attendolo Sforza, 1869; B. Corio, L’Historia di Milano, 1664; L. Crivelli, Vita di Muzio Attendolo, 1731; G. A. Campano, De vita et gestis Braccii, …..; tutti citati e commentati da A. Di Chicco nel suo studio del 1990, cit., in cui riporta una sintesi delle versioni del Giovio, del Faraglia e del Corio, pp. 64-67.

[2] Non si sa con certezza dove la battaglia avvenne, ma la presenza di un ponte levatoio su un alto fossato, fa ipotizzare che il luogo fosse lo spiazzo antistante la Porta di Poggio, nel quartiere della residenza di Tartaglia, dove più alto era il fossato; oggi scomparso, ma presente fino al XIX secolo.

[3] Su questi fatti d’armi vedi, fra l’altro: Nicola della Tuccia, Cronica di Anzillotto Viterbese …, Roma 1980, p. 83; Feliciano Bussi, Istoria della città di Viterbo, 1742; Ignazio Ciampi, Cronache e statuti della città di Viterbo, 1872.

[4] Nicola della Tuccia, 1890, cit., p. 84; G. Levi, 1880, cit., p. 12; e altri.

[5] Reg. Vat. 384, f. 176.