La trebbiatura - Toscanella - Il blog dei tuscanesi

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La trebbiatura

Modi di vivere, tradizioni

LA TREBBIATURA

Nei tempi antichi la trebbiatura del grano veniva fatto a mano. Si spandevano le spighe sullo spiazzo antistante la casa colonica, sul quale era stato fatto seccare uno strato di stabbio. (cfn. Vergilio: L’aia va spianata con un grande rullo e rassodata con argilla perché non vi spuntino le erbe. Georg. I,180) per rendere il terreno duro e compatto. Le spighe si battevano con il curiato: (vedi). Quando le spighe erano triturate prima si lanciavano con la pala, (il ventilabro) contro vento in modo che la paglia e la pula, più leggere, cadessero lontano e i chicchi si ammonticchiassero tutti in un punto; poi il grano subiva una seconda brillatura con la giuiarola , un grande cesto con tanti fori larghi come i chicchi del grano, che era attaccata al centro di tre pali legati a capra.

Nelle grandi aziende però la trebbiatura veniva fatta in modo un po’ più rapido e meno faticoso. Sull’aia si ponevano le gregne diritte, una accanto all’altra ( la sterta) e su questa venivano fatti camminare i cavalli che con gli zoccoli trituravano le spighe. Quando le spighe erano ben triturate si procedeva alla pulitura del grano come già abbiamo detto. Nei tempi recenti la trebbiatura era fatta con le macchine. Le gregne portate sull’aia, si ammonticchiavano le une sulle altre e formavano la meta. Quando erano state formate diverse mete, veniva la trebbia. Il personale, che comprendeva circa 25 persone tra operai e operaie, si spostava da un’ara all’altra in genere di notte. Giunti all’ara stabilita venivano piazzati la trebbia e il trattore. La trebbia veniva messa sempre in direzione con l’asse Nord-est – Sud–Ovest, perché il vento non desse noia agli operai addetti alla lea e all’imboccatura delle gregne. Tutti gli operai avevano una mansione specifica: c’era il capod’ara che aveva il compito di sorvegliare gli operai e aveva la responsabilità dell’ara; l’accostatore, con il forcone prendeva le gregne e le passava ad un’operaia, la taierina che aveva il compito di tagliare la gregna; questa, ormai sciolta, veniva immessa nella trebbia dall’imboccatore.

Il lavoro più duro spettava al learino, in genere un ragazzo, che aveva il compito di allontanare dalla trebbia la lea erta e la lea fina che si ammonticchiavano di fianco alla trebbia. Poi veniva la vetta; per fare questo lavoro l’operaio aveva a disposizione un attrezzo di legno che trainato da una vetta, cioè da un parecchio di buoi e strisciando sul terreno, trasportava i mucchi di lea lontani dalla trebbia. Il learino lavorava sempre con un grande fazzoletto davanti alla bocca e sul naso che gli impediva di respirare la gran polvere che si levava.

Un altro operaio importante era il portaspese; veniva assunto uno che era proprietario di carretto e di cavallo, perché ogni giorno faceva la spola tra l’ara e il paese per ritirare il pane dal forno che spesso veniva barattato col grano e per le compere necessarie agli operai, infatti nella paga degli operai erano compresi i tre pasti principali. Il lavoro iniziava al levar del sole. Alle otto c’era una breve sosta per la colazione; all’una ci si riposava sotto gli alberi o all’ombra della trebbia per il pranzo; la baracca, cioè la tenda era riservata al padrone, al capod’ara al cantierista e agli imboccatori e poteva ospitare anche il padrone del grano.

Al calar del sole terminava il lavoro e c’era la cena. Il grano intanto a mano a mano che usciva dalle bocchette veniva insaccato e portato al cantiere e pesato alla bascula dal cantierista che rilasciava la figlia delle bollette con le quali pe’ le Santi Martre sarebbe passato a riscuotere la trebbiatura. Quindi i sacchi erano ammonticchiati e custoditi dal padrone fino a che non fosse stato portato al magazzino al sicuro. La paglia, parte veniva pressata, con la pressa attaccata alla trebbia, ma la maggior parte veniva bruciata per la Madonna di mezzagosto e solo una piccola parte era conservata per la lettiere degli animali

 
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