
Mezzo secolo. 50 anni, un bel pezzo di vita, per noi, più fortunati, che la vita non la perdemmo in quell’inferno di polvere, macerie, dolore che travolsero in pochi minuti la fierezza della nostra città dalle radici antiche.
Agli altri, alle decine di nostri fratelli schiacciati dalla tragedia, un destino arcigno ha riservato l’unica consolazione di un ricordo che il passare dei decenni non è riuscito a stingere. E allora, anche per rendere loro l’onore della memoria, è giusto, in questo anno ancora attraversato da un nemico non meno subdolo e letale, rendere il merito a tutti coloro che nell’immediatezza della sciagura, e nei giorni successivi, quando il teatro comunale ancora da inaugurare si trasformò in un enorme sarcofago, con le bare delle vittime allineate al proprio interno, si adoperarono per ridare fiato a una comunità ferita a morte.
Come mi è capitato di ricordare in altre occasioni, se fu possibile, allora, trasformare la percezione dell’assenza nella convinzione che non tutto era perduto; che il senso di comunità, il ricordo collettivo non erano precipitati dentro le crepe aperte dalle scosse assassine, questo accadde anche per la vicinanza e la condivisione del dolore da parte dei rappresentati delle istituzioni, solidali e presenti, fino ai più alti livelli.

Penso a Giulio Andreotti, o a Clelio Darida, fraterno amico e padre politico. E penso al loro impegno per fornire una ragione d’esistere a chi l’aveva persa. Penso agli sforzi per la rinascita, che portarono al concepimento di un progetto allora all’avanguardia, come quello del quartiere Gescal, poi realizzato pessimamente.
Penso all’ing Otello Testaguzza e al dott Luigi Pasquarelli, ai tanti uomini dei vigili del fuoco e del genio civile (all’epico non esisteva l protezione civile), ai carabinieri e All polizia di stato, alla croce rossa e ai tanti altri che non si risparmiarono affinché a Tuscania non morisse, con le vittime del terremoto, anche la speranza.
E penso, infine, ai tanti tuscanesi che non si rassegnarono. Al sindaco Leonardi e agli altri sindaci che si susseguirono come Marcoaldi, Salvatori etc, a Don Domenico, Don Lidano e Don Dario …. Uniti e solidali, nella volontà di non soccombere.
Dov’è oggi, quel senso di comunità che ci permise di superare l’immane strazio? Dove sta la solidarietà che ci consentì di rialzare la testa?
Io credo che un popolo che non ha memoria non può avere futuro, e noi che vivemmo quel dramma abbiamo l’obbligo morale di mantenerlo vivo, quel ricordo. Lo dobbiamo alle vittime di allora, ma lo dobbiamo anche alle nuove generazioni, che meritano di vivere senza le lacerazioni che l’abbandono di quel senso di appartenenza ha provocato.
Spetta alle donne e agli uomini di buona volontà ricreare le condizioni perché ciò avvenga. Sarebbe questo il modo migliore per ricordare e onorare le vittime falciate dalla catastrofe.
E’ questo il ricordo di Regino Brachetti (sindaco di Tuscania dal 1991 al 2001), a 50 anni dal terremoto che sconvolse Tuscania.