
6 febbraio 1971. In questi giorni di immagini in bianco e nero, non mi sento di condividere appieno le parole che accompagnano il ricordo del terremoto di Tuscania, almeno come appare nelle pagine “istituzionalmente” dedicate ad esso. L’unica parola che trovo appropriata è “memoria”; “forza” e “rinascita” le condivido solo in parte e per significati che oggi hanno perso valore e attualità! Il mio personale contributo alla memoria sono alcune parole che ho raccolto. Eccole:
Un nuovo teatro doveva essere inaugurato la sera del 6 febbraio 1971, con una serata danzante. 6 febbraio 1971. Il terremoto.
L’attesa, l’eccitazione, gli abiti buoni intorpiditi dal carbone dei ferri da stiro si seccarono con la polvere che chiuse le bocche dei Tuscanesi alle ore 19.09. Un boato. E il tempo impazzì. Un attimo. Il calore della casa e della gente, un attimo, e divennero fuga, buio, freddo, pianto, falò improvvisati, parole sussurrate e grida improvvise, casali di campagna, nomi ripetuti, valigie insensate, tende militari, toni concitati di telegiornale. Raggi di luce elettrica che aprivano il buio e la polvere, che cercavano di stampare su qualcosa il tempo impazzito. Sirene lampeggianti che accendevano attimi su case perse e su occhi smarriti, per poi spegnersi nel buio, soffocate dall’abbaiare di cani lontani. Poi altri attimi, altra luce, altro buio. Attimi sempre più pesanti, sempre più lenti. Attimi diventati anni. Tuscania era muta. Tuscania era fuggita via.


- Un vigile urbano ha dissotterrato il corpo del figlioletto di quattordici anni…Dopo il terrore la disperazione. (Il Messaggero di Roma, Domenica 7 febbraio 1971).
- …In un attimo tutto è distrutto / ed al posto di quello da sera / resta solo il vestito da lutto… (Gianfranco Montesi).
- Fu tutto ’l centro anche appuntellato / che le più fitte selve e più ‘ntrigate / parean a confronto suo disboscate (Luciano Laici).
- E’ tutto devastato e poi hai paura (Giuseppe Ciccioli).
- E nel silenzio senza risonanze / per le strade scarne sofferte/ nell’angoscia cammino (Luigi Pasqurelli).
- Seduta alla camera per i terremotati. I deputati D.C. chiedono urgenti assicurazioni (Il Messaggero di Roma, 13 febbraio 1971).
- Abbattere o ricostruire il centro-storico? (Ing. Otello Testaguzza).
- I soldi per le chiese sì per le case no (scritta apparsa su un muro del centro storico).
- Case sì baracche no (slogan di protesta durante una manifestazione a Roma).
- A un lustro oramai ci siam vicino e ancora tanta gente sta ad abitare chi alle baracche chi in un magazzino (Giuseppe Montesi).
Tanti considerano il terremoto una specie di spartiacque. Un evento che separa il prima e il dopo. Il prima del tufo e delle note brille delle osterie, il prima delle campane e del pantano, dei preti, dei mestieri lenti e delle bestemmie, degli abiti fatti di sguardi, delle lenzuola bagnate, del poco di tanti e del tanto di pochi. Il dopo è quello della Tuscania di oggi, polvere sospesa tra la lana del passato e i lampi delle parole troppo veloci per essere sotterrate. La Tuscania dei contadini senza terra rinchiusi dai cancelli dell’apparenza. Fuori dal centro storico il terremoto ha portato gente, soldi, invidia e cemento. Dentro è rimasto solo qualche stanca voce stonata che si avverte appena per poi scivolare lentamente nell’acqua bastarda del Marta.