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● – LE FAGOCCHIE IN UNA POESIA DI GANASSA

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LE FAGOCCHIE
 
De le fagocchie voe ve ricordate?
Quanno, pe’ mette ‘l cerchio a le carrette
lì nella rota, ‘l foco se dovette
accènne’ al sotto co’ legne accostate
e, quanno quello s’era arroventato,
messo ne’ quarte ‘ntorno era freddato?
 
E dopo con ‘l restrigne se fissava?
Era ‘n lavoro proprio de bravura,
ma ci avévono pure la premura
perché in ogni bottega se piantava
quella che qui viene chiamata acace,
che pe’ le stanghe adè legno capace.
 
Su a le Cerquette ci oprava il Salaro,
’n via dell’Olivo c’era l’Occhialone,
in via Filzi poe la professione
faceva Crapiciano al Rio Fecciaro,
e due insieme lì a torre Lavello
che facevono ‘l carro molto bello:
 
Erano Stincatelli con Cecchetti
che facevono perfette cariole
e carri e carrettini e vignarole,
e pure i cassettoni così detti;
giù a le sette Cannelle al contadino
jjelo faceva ‘l carretto il Menghino,
 
che lì vicino a quella pontonata
jje l’allestiva carmo e senza fretta,
mentre se la beveva ‘na fojjetta,
e poe se la faceva ‘na sonata.
E lì a le Sambucare, a quelle vie
ce oprava Antonio Onori co’le fie.
 
Tuscania 12.05.2021
 
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Bello era vedere l’inserimento del cerchio di ferro sulla ruota, quando veniva infocato con pezzi di legno messi appunto sopra. All’esterno di ogni bottega di fagocchio c’erano piantate quattro o cinque robinie, non solo per stare all’ombra mentre si lavorava all’esterno d’estate, ma anche per usarne il legno, atto a fare le stanghe specialmente di carrettini, quando non lo trovavano, magari facendolo stagionare qualche anno avanti, cioè quando per tempo gli avevano ordinato il lavoro. Il legno usato era di solito quello di faggio o qualche pezzo di olmo, però si trattava sempre di legno stagionato.

I fagocchi, detti in italiano“carradori”, costruivano carretti, carrettini, cassettoni, vignarole, carioli e carri con timone, trainati da bestiame vaccino. Un carretto, a titolo di curiosità, nel millenovecentosessanta, costava lire settantamila.

Nel carretto si potevano anche attaccare due cavalli, di cui uno a bilancino, ed era chiamata coppia; nel cariolo tre cavalli che venivano chiamati gubbia, perché si diceva che una bestia serviva solo per trainarlo. In largo Cerquette aveva la bottega Gino Bernardini, detto il Salaro; in via dell’Olivo si trovava la bottega dell’Occhialone con il figlio Pitillo, di cognome Mancini; quella di Capriciano, di cognome Cecchetti, era in via Fabio Filzi, dirimpetto a Rio Fecciaro; a Largo torre di Lavello avevano la bottega Stincarelli e Cecchetti, che lavoravano insieme.

Lì ancora si vede qualche pianta di robinia davanti alla trattoria di “Alfreda”, ove era ubicata la bottega. A largo Sette cannelle aveva la bottega Giuseppe Morzetti, detto il Menghino, che suonò per vari anni nella banda cittadina, era un ottimo musicista di sassofono e di mandolino.

Gli piaceva tanto il vino, come del resto a tutti i musicanti, come recita il proverbio: “sarvete dalla fame dei commedianti e dalla sete dei musicanti”. In via delle Sambucare aveva la bottega Antonio Conti, che era coadiuvato dai figli Onorio e Mario.
 
Luciano Laici



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