
LA STORIA
(tratto da un opuscolo di Pericle Scriboni, liberamente rielaborata da Luigi Pica)

I Nodoler acquistarono la scultura e, al loro rientro in Italia, la portarono a Tuscania. L’immagine, vestita di nero, fu posta in una stanza della casa degli Eusepi, che, da quanti la visitarono, fu chiamata la stanza della Madonna.
Si sparse ben presto la voce che richiamò la maggior parte dei tuscanesi, a venerare quell’immagine che poi venne chiamata l’Addolorata.
Da molte testimonianze, si apprende che l’immagine, incominciò ad elargire grazie e la casa degli Eusepi divenne luogo di pellegrinaggio di malati e di sofferenti, tanto che i coniugi Nodoler decisero di farne dono alla Parrocchia di San Giovanni Decollato.

Finalmente l’Addolorata dei Nodoler fu veramente e per sempre dei Tuscanesi che iniziarono un vero e proprio culto per questa straordinaria immagine. La cappella di San Giovanni, che ospitava l’immagine, si arricchì di doni per grazie e miracoli ricevuti e il popolo devoto, da allora in poi, l’ha portata per le vie del paese in solenne processione.
LA DEVOZIONE. Non possiamo dire con esattezza - perché non abbiamo documenti - quando, per la prima volta, l’Addolorata fu portata in processione per le vie di Tuscania nella prima macchina, costruita dai fedeli per il trasporto dell’immagine, è stata rilevata una data: 1845; questo lascia supporre che i tuscanesi vollero, nell’anno stesso della donazione dei Nodoler onorare pubblicamente e trionfalmente l’Addolorata.

In ogni parte d’Italia e del mondo, ove sono famiglie tuscanesi, con essi è la nostra Madonna, così pure in ogni campo di battaglia, ove la nostra gioventù venne chiamata a servire la Patria, la Vergine SS. Addolorata, con la sua immagine, fu madre consolatrice e dolce compagna, per quanti di essi, morirono in guerra.

La prima “macchina” o “trono”, con la quale fu trasportata l’immagine, come abbiamo già detto, risale al 1845. Essa era portata a spalla da 16 giovani, scelti tra i soci della confraternita della Misericordia, vestiti con lunghi camici bianchi stretti ai fianchi da un nero cordone. Il peso che ognuno portava, per oltre un chilometro, si aggirava dai 50 ai 70 chilogrammi.
Portare la “macchina”, oltre che essere considerato un grande onore, per molte famiglie locali si trasformò in una vera e propria tradizione da custodire gelosamente e tramandare di padre in figlio, tanto che gli “Araldi” di oggi sono, in buona parte, i pronipoti di quelli di ieri.