● - TUSCIA IN PILLOLE. CESETTI L’UOMO CAVALLO. Di Vincenzo Ceniti - Succede a Tuscania - Toscanella

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● - TUSCIA IN PILLOLE. CESETTI L’UOMO CAVALLO. Di Vincenzo Ceniti

Pubblicato da in Dal Web ·

Giuseppe Cesetti con Giulio Andreotti all’inaugurazione della Mostra del 1961.
 
19 dicembre 1990, muore a Tuscania nella sua città natale Giuseppe Cesetti, “l’uomo cavallo” come lo definiva  il poeta e letterato Diego Valeri, aggiungendo “il centauro maremmano”, “un centauro che dipinge”. Cesetti da parte sua replicava “Un etrusco senza tempo”. Le sue tele sparse nelle collezioni di tutto il mondo sono in parte riunite nella tenuta di Montebello a poca distanza da Tuscania, tra cui l’Autoritratto (1941) e il cartone della splendida “Rissa di cavalli” (1950). Temi ricorrenti i cavalli della sua Maremma: inquieti, bizzarri, nervosi. E poi tori “immensi e impassibili, solenni come  monumenti, guardati a vista da mandriani neri e barbuti come vecchi sugheri”.
 
Cesetti li ha sempre avuti nel cuore e negli occhi, fin dall’infanzia, quando andava appresso al padre  tra le piane assolate della Maremma, sostando magari all’ombra di una quercia per un ristoro con pane e cacio. La passione per i cavalli lo porterà a curare con grande mestiere gli allevamenti nella sua tenuta “la Tortorella” nei pressi di Tuscania. E lo porterà anche a frequentare i campi di corsa di varie città, soprattutto di Parigi.
 
Il suo talento non si esaurisce però nella rusticità gentile della campagna “forte e gentile”. C’era dell’altro come esito di un affannoso peregrinare da un posto all’altro, da quando da giovanissimo lasciò la sua Tuscania alla “conquista del mondo”.                          Le città che a più riprese lo hanno ospitato (Firenze, Parigi, Milano,  Venezia e Roma) scandirono altrettanti passaggi della sua colorita tavolozza. Vengono ricordate le “invenzioni” anni Cinquanta di taluni scorci pieni di luce lungo la Senna o nella Camargue che Cesetti amava quanto la Maremma.
 
A Parigi – dove il suo incontro con Maurice Utrillo non sarà fugace – fu addetto culturale dell’Ambasciata italiana ed espose per l’Expo del 1937 un grande pavimento in ceramica che gli era stato commissionato da Gio Ponti. A Venezia  fu assistente alla cattedra di Pittura dell’Accademia di Belle Arti e partecipò alla Biennale. Qui fondò il cenacolo artistico de “Il Cavallino”. A Roma fu ospite della Quadriennale e insegno all’Accademia di Belle Arti.
 
Certamente più raffinati e tenui, rispetto alle esperienze degli inizi, i cieli catturati tra le nuvole del nord;  più languidi quasi “pallidi e tristi”  i colori dell’Autoritratto; meno rudi dei tratti maremmani le curve dell’Etrusca (1940) che ricorda la spregiudicatezza delle donne dei Lucumoni. Con Bonaventura Tecchi (entrambi deputati provinciali di Viterbo subito dopo la guerra), si prodigò per il recupero e il restauro delle opere d’arte della Tuscia danneggiate  e disperse. Un’operazione che ebbe del miracoloso.
 
Nel 1972, dopo il terremoto di Tuscania ritornò  nella città natale dipingendo nel suo casale a Montebello. Non solo. Si attivò  per la promozione della Tuscia Viterbese forte delle esperienze acquisite in altri contesti e civiltà. Però non sortirono un granché: è impietosa la damnatio “nemo propheta in patria”.
 
Lo ricordo negli anni Ottanta a capo del corteo dei butteri a cavallo che aveva costituito come risposta paesana ad una civiltà d’altri tempi come quella etrusca. Costumi da lui disegnati, mazzetta in pugno (con cui si tenevano a bada le mandrie) e un curioso copricapo nero simile ad una bombetta. Cesetti aveva il fascino singolare di chi ha sempre osservato l’orizzonte da postazioni privilegiate, grazie a due occhi penetranti come quelli di un lupo che facevano intendere pensieri inafferrabili. Alcuni vergati sul foglio con versi “fulminanti”, sullo stile di Ungaretti, del tipo “Madre,/In vacanza è la mia vita”.
 
A Viterbo era in contatto e in sintonia artistica con il pittore-scultore Alberto Turchetti, scomparso nel 2012, che aveva l’atelier  nel quartiere di San Pellegrino. Nel 1961 fa notizia la sua antologica (circa 100 opere dal 1928) nel palazzo dei Priori di Viterbo. Si presentò alla vernissage di quella mostra con una zimarra nera, la “pennazza” argentata e in mano un agile  frustino di disimpegno a mo’ di  mazzetta. Fu quella una giornata di grande soddisfazione per lui e per noi.


I tori della Maremma



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