OSIMO , 19 gennaio, 2022 / 6:00 PM (ACI Stampa).-

E’ il 1950 quando Domenico Brizi scrive queste parole. E’ da cinque anni vescovo di Osimo, all’epoca staccata da Ancona, con il suo duomo romanico e la vita che rinasce dopo lo sconvolgimento della guerra.
Il vescovo Domenico è amato dalla gente perché conosce bene le loro sofferenze. E’ un grande direttore spirituale, confessa molto e non è tenero in confessionale.
Non abbandona mai il “Ministero del Confessionale”e quando non può scendere al confessionale riceve nella cappellina dell’episcopio.

Nel 1933 inizia la sua vita come rettore di seminari, fino al 1939 quando Monsignor. Brizi viene nominato Rettore del Pontificio Collegio Urbano di Romano.
La guerra la vive a Roma ma, nei primi mesi del 1945 diventa vescovo di Osimo- Cingoli, nelle Marche. Viene consacrato l’11 Febbraio nella Cappella del Collegio Urbano devoto all Madonna della Fiducia, Patrona del Seminario Romano, Madonna tanto cara al nuovo Vescovo di Osimo. La domenica delle Palme entra in diocesi, è il 25 marzo.

Nella sua prima Lettera Pastorale scrive: “Che cosa io ho che posso darvi? non splendore di natali, non tesori di scienza, non ricchezza, nulla. Io non posseggo ne ho mai posseduto, e- posso accertarvene- non possiederò mai nulla di tutto questo. Vi posso offrire il mio cuore, e mai mi tanto doluto, che il mio cuore non fosse pi grande, come oggi, che donandovi il mio cuore vorrei donarvi, non soltanto quello che ho, ma tutto quello che ha Dio”.
E’ sempre l’11 febbraio quando muore, ed è il 1964, all’Ospedale civile di Osimo dopo aver scritto nel suo diario: “Sto per celebrare la Messa più solenne, Ti prego Signore, dammene la forza e fa che sia veramente solenne”.
Brizi scrive molto, soprattutto lettere a chi segue come padre spirituale, ai sacerdoti. Non sono opere teologiche ma vere pagine di pastorale attualissime anche oggi.
Nota che l’ostilità verso la Chiesa che si va sempre più intensificando. Aumentano le associazioni “dove si impara a lottare contro Dio”e da parte dei cristiani “è evidente un certo disorientamento: illanguimento di fede, intorpidimento di vita morale, lassa mento dei vincoli di unità”. Ma il Sacerdote, ricorda Brizi, non è stato ordinato per avere una posizione privilegiata, ma si è offerto a Dio per la salvezza e per la santificazione delle anime ma “come l’otterremo se non siamo santi noi?”.
Bellissimi i racconti dei suoi familiari che incontrava nella sua Tuscania di tanto in tanto. Francescanamente povero e figlio di fornai non si vergognava delle sue origini.
Sulla sua tomba nella cripta del Duomo di Osimo ci sono sempre fiori, e fin dagli anni’90 si parla di grazie ricevute per sua intercessione.
Sta di fatto che Don Domenico ha lasciato una impronta di santità che potrebbe aprire la strada per l’apertura della causa di beatificazione.
Per conoscerlo meglio c’è un libro di Giovanni Antonazzi, storico della Tuscia, non facilmente reperibile se non nelle biblioteche. E anche il libro più agile e divulgativo di Matteo Cantori.
Ed è un peccato. Perché modelli di sacerdoti e di vescovi come don Domenico sono importanti oggi più che mai.