S. Paolo della Croce - Toscanella - Storia del Cerro

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S. PAOLO DELLA CROCE E IL RITIRO DEL CERRO (1743-1796).
 
Il 4 ottobre 1742, S. Paolo della Croce cominciò a programmare la predicazione di una santa missione a Tuscania e comunicò il suo desiderio al vescovo mons. Alessandro Abbati(8). Il 12 dicembre mons. Abbati, stando a Tuscania, rispose al Santo manifestandogli la sua gioia per tale decisione: la missione(9) ebbe inizio l'8 gennaio 1743. I Tuscanesi, colpiti dal vigore spirituale dei Padri passionisti, chiesero loro di fondare un Ritiro nel territorio, suggerendo che il luogo più opportuno sarebbe stato il Cerro.

 A primavera, p. Paolo tenne gli esercizi spirituali nel monastero di Valentano e, nel ritornare ad Orbetello, volle passare da Tuscania per visitare il Santuario della Madonna del Cerro sia per devozione che per conoscere il luogo destinato alla nuova fondazione(10), assai urgente dato che il Ritiro di Orbetello cominciava a non essere più in grado di ospitare le crescenti vocazioni. Il Santo trovò tra la gente e gli amministratori di Tuscania lo stesso entusiasmo del gennaio precedente. La città smaniava di veder realizzato il Ritiro; non v'erano intralci burocratici da superare, dato che essa era la sola proprietaria del luogo: gli amministratori attendevano solo l'assenso di p. Paolo(11), che trovò il Santuario “divotissimo” ed “in vera solitudine”. Avrebbe desiderato effettuare il sopralluogo in segreto, ma i Tuscanesi intuirono il motivo della sua presenza e si mostrarono ancora una volta smaniosi per l'immediata apertura del nuovo Ritiro: le insistenze “riempiono di stupore” il Santo(12). Lo frenava una sola preoccupazione: l'aria poco buona(13), ma quei bravi “maremmani” tranquillizzarono p. Paolo, mostrandogli la collina, posta dietro al Santuario, dove l'aria era più salubre: lì poteva sorgere il Ritiro, mentre le stanze esistenti presso il Santuario avrebbero potuto ospitare, a suo tempo, sacerdoti e secolari per gli esercizi spirituali(14).
 
Il 10 luglio del 1743, p. Paolo spedì la richiesta al Comune e chiese a suor Colomba Gertrude Gandolfi, una clarissa del monastero di Tuscania, di pregare Dio affinché impedisse l'apertura del Ritiro, se ciò non fosse rientrato nei Suoi disegni divini(15).
 
 Il 28 luglio, il Consiglio comunale accolse la richiesta e si impegnò ad ottenere l'approvazione dalla “Sagra Congregazione del Buon Governo”(16). Venti giorni dopo (18 agosto) il vescovo mons. Abbati faceva sapere a p. Paolo di seguire personalmente la pratica, inoltrata dal comune di Tuscania, anzi di averla già raccomandata a mons. Conti, segretario del “Buon Governo”. Risultato: la richiesta venne respinta! Si predispose una ulteriore richiesta: il “Buon Governo” domandò, allora, informazioni al vescovo, che, in una relazione assai dettagliata (dell'11 settembre 1743), fornì un quadro completo e fedele delle condizioni del Santuario(17):
 
 La chiesa della Madonna SS.ma del Cerro è assai capace, e di buona struttura, proveduta di molte suppellettili, alla quale vi è del concorso <di popolo> in alcune Feste, ed è continuamente frequentata da persone devote. Unita alla detta chiesa vi è la vigna, con il commodo della casetta ed altri annessi assai propri. Con tutto ciò, essendo la detta chiesa in sito d'aria insalubre e circondata da una macchia, difficilmente puole provvedersi di Eremita capace e dabbene, che v'assista ed abbia cura della robba suddetta, anzi si sta continuamente in pericolo di smarrirsi o rubarsi le dette sacre suppellettili, e, quel ch'è peggio, vi si raduna spesso gente discola e facinorosa”; allora - proseguiva il vescovo - quale miglior soluzione se non quella di affidare il Santuario a p. Paolo ed ai suoi Passionisti, costruendo loro un Ritiro, che si sarebbe rivelato anche un sicuro custode di quel luogo sacro?  Alla fine del 1743, tutto sembrava ormai pronto, ma in realtà le trattative proseguirono a lungo (in questa sede non possiamo seguirne i dettagli); nel febbraio '44, p. Paolo si recò a Tuscania “per ivi accomodare le cose”, ma tutto venne rimandato all'autunno successivo, per poi non concludere nulla. Quali erano gli ostacoli, che ritardavano la fondazione del Ritiro? In sintesi i motivi erano tre: anzitutto, una fortissima opposizione da parte degli ordini Mendicanti tuscanesi (due conventi Francescani e uno di Agostiniani), che vedevano nei Padri Passionisti dei futuri concorrenti nella raccolta delle elemosine; le condizioni climatiche del Cerro fortemente malsane, contrariamente alle informazioni fornite a p. Paolo dai Tuscanesi (“che se avessi avuto tal notizia prima - afferma il Santo - non se ne sarebbe trattato; ma i cittadini asserirono esser buone, perché così sembrava loro!”); infine, l'atteggiamento sempre più tiepido degli amministratori locali, i quali a parole promettevano molto, ma nei fatti non avevano ancora speso un solo scudo per l'esecuzione dei restauri necessari ad accogliere degnamente i Padri al Santuario del Cerro(18).
 
 Tutto tacque per quasi due anni. Il 18 giugno 1746, p. Paolo scrisse a p. Fulgenzio, esprimendogli la fiducia che la Madonna desiderava l'apertura del Ritiro a Tuscania(19). Ma i Frati Mendicanti si opponevano ancora e ogni progetto cadde nuovamente nel nulla(20). P. Paolo si lamentò anche con il suo principale benefattore tuscanese, Giacomo Tozzi, per il fatto che gli amministratori comunali fossero divenuti tanto insensibili al problema che nemmeno rispondevano più alle sue lettere. A lottare con p. Paolo rimaneva solo il pro-vicario generale della diocesi, il canonico Andrea Pagliaricci(21). Sopraggiunsero altre difficoltà (che omettiamo di riferire), fino a quando, dietro le pressanti richieste del vescovo mons. Abbati, nel febbraio del 1748, p. Paolo decise di lasciare l'Argentario per “passare in Toscanella a terminare l'affare del Ritiro”(22). Partì dall'Argentario con alcuni suoi compagni il 19 marzo. Dopo un drammatico viaggio, sotto uno sferzante vento di tramontana, p. Paolo e la sua comitiva giunsero a Tuscania il 22. Intanto gli amministratori comunali avevano già deciso, bontà loro, di rinviare la fondazione del Ritiro a maggio, non essendo riusciti ad allestire adeguatamente i locali del Cerro. Pessima fu l'impressione che ricevettero i poveri Passionisti. Una breve sosta a casa di Girolama Tozzi, per ristorarsi un poco, poi, l'indomani mattina, sfiduciati, avrebbero ripreso la via verso il Ritiro di S. Angelo al Monte Fogliano, rinunciando con rammarico al Cerro. Durante la notte, fratel Giuseppe si sentì male. Il banale incidente costrinse la comitiva dei Passionisti a trattenersi ancora per tutta la giornata. Il contrattempo fu provvidenziale, perché, durante il pranzo, giunse la notizia che in Città era appena arrivato il vescovo. E fu proprio mons. Abbati a prendere in mano la situazione: messo a conoscenza dei fatti, convocò p. Paolo e lo convinse a rimanere, perché c'era da fare la consegna solenne del Cerro! Richiamò all'ordine gli amministratori, che s'affrettarono ad inviare subito operai per i lavori necessari. In un paio di giorni, gli ambienti del romitorio vennero sistemati alla meglio (furono riparate soprattutto le finestre).
 
 Inizialmente i Passionisti avrebbero dovuto alloggiare (come effettivamente alloggiarono) nel romitorio adiacente al retro del Santuario, mentre la “casina” posta sulla collina, ad un centinaio di metri (dove in seguito i Passionisti si trasferiranno), era abitata dall'eremita fra' Diego, il colono posto dal comune di Tuscania a custodia del Santuario(23).

 
 La mattina di mercoledì 27 marzo, tutti convennero in Cattedrale; p. Paolo prese la croce, intonò le litanie dei santi e si avviò verso il Santuario del Cerro, ma il popolo, “numerosissimo”, si limitò ad accompagnarlo fino a Porta di Poggio, poi si dileguò (e il Santo ci rimase veramente male)(24). Lo seguirono soltanto il vescovo, alcuni signori, il clero locale ed i Passionisti che erano con lui, tra i quali ricordiamo: p. Giovan Battista di S. Michele Arcangelo (fratello di p. Paolo), p. Domenico della Concezione (Bartolotti), p. Giuseppe di S. Maria Maddalena, fratel Giuseppe della SS. Trinità, fratel Bonaventura dell'Assunta (poi sacerdote nel 1766) e fratel Giacomo di S. Luigi (Gianiel). Arrivata al Santuario, la comitiva sostò in preghiera davanti all'altare della Madonna del Cerro, dove p. Paolo celebrò la S. Messa. Terminata la liturgia, si snodò intorno alla chiesa una processione al canto del Tantum ergo. Seguì la benedizione con il Sacramento, impartita da p. Paolo; quindi, il vescovo dette ai Passionisti il solenne possesso del Ritiro e di una porzione di terreno, li benedisse e se ne tornò con i pochi signori a Tuscania(25).
 L'atto notarile, stipulato fin dal 26 giugno 1746, da quel momento diveniva finalmente esecutivo. Tra i vari punti, ne ricordiamo solo qualcuno:

  1. I Passionisti potevano scegliersi una parte del terreno, compreso l'uso dell'orto e del prato del Santuario.
  2. L'annuale “Fiera” per la festa della Madonna si doveva fare ad una certa distanza dal Ritiro.
  3. I Padri restavano al Cerro da novembre a giugno; nei mesi estivi (quando si trasferivano nel Ritiro di S. Angelo al Monte Fogliano) era delegato alla cura del Santuario il sig. Giacomo Tozzi.
 
 Ma riprendiamo il racconto. Allorché il vescovo se ne fu andato, si avvicinava l'ora di pranzo, ma i Padri, rimasti soli, non trovarono che poche alici, avanzate nel viaggio. P. Paolo, allora, mandò a chiedere all'eremita (fra' Diego) della “casina” accanto del pane e un sorso di vino: così i poveri Padri ebbero qualcosa da mangiare. Per la cena, poi, Dio avrebbe in qualche modo provveduto! E Dio provvide davvero. Sul tardi, p. Paolo nominò vicerettore del nuovo Ritiro p. Domenico della Concezione(26), poi, mentre tutti stavano recitando le ore dell'ufficio divino (Compieta), udirono bussare alla porta. Fratel Giacomo di S. Luigi (Gianiel), il cuoco, andò ad aprire e si trovò davanti uno sconosciuto, che gli offrì un canestro con circa due chili di pasta e si dileguò immediatamente. Anche la cena fu assicurata (però non c'erano le posate, per cui i poveri Padri dovettero costruirle con alcune cannucce). I disagi non finirono qui. Quando la sera, si misero a dormire, le coperte donate dal signor Consalvi non furono sufficienti per tutti. P. Paolo era molto rammaricato.

Trascorsero un paio di giorni (durante i quali vennero soccorsi ancora dalla carità di fra' Diego l'eremita); poi, la mattina del 29 marzo, p. Paolo decise di partire per S. Angelo, convinto che, solo se si fosse allontanato, Dio avrebbe provveduto ai suoi figli(27). P. Domenico cercò, invano, di trattenerlo. Nell'allontanarsi, p. Paolo gli parlò come assorto: “Se io potessi avvisare una persona, non mancherebbe più niente al Ritiro. Questa è una zitella di Piansano, chiamata Lucia… Basta, bastaàsi faccia coraggio, perché Iddio i suoi servi li prova come a Lui piace!”(28).

 
 Quel giorno li sfamò ancora fra' Diego l'eremita.
 
 L'indomani - sabato 30 marzo - giunsero al Cerro due donne. Chiesero di confessarsi. Subito dopo, p. Domenico chiese ad una delle due se fosse Lucia di Piansano.
 
 - Perché mi chiama Lucia di Piansano?  - Perché se fosse essa, replicò p. Domenico, vi direi quello che mi disse il p. Paolo.
 
 La giovane dichiarò di essere Lucia ed ammise che era venuta al Cerro spinta da una forza interiore, poi chiese di che cosa avessero bisogno.
 
 P. Domenico espose la triste condizione di indigenza in cui versavano i Padri. Lucia lo rassicurò dicendogli che Dio non li avrebbe abbandonati.
 
 Ricevuta la S. Comunione, le due donne ripartirono.
 Il giorno successivo ritornarono molto presto con due giumenti carichi di diverse provviste per i Padri. Così, per molto tempo la venerabile Lucia Burlini e la sua amica Maddalena, chiedendo elemosine tra la buona gente di Piansano, furono in grado di portate al Ritiro del Cerro, due volte la settimana, provviste sufficienti in modo che non mancasse più niente ai religiosi “verificandosi appuntino ciò che aveva predetto il p. Fondatore”(29).
 
 Le condizioni economiche del Ritiro erano infelici. “La somma freddezza” dei Tuscanesi mise a dura prova la fede dei Passionisti: in una lettera del 30 luglio 1748, p. Paolo così si sfogava con il pro-vicario di Tuscania don Pagliaricci: “che se Toscanella non ci darà niente, Dio ci aiuterà da altre parti, che molto saranno benedette da Dio. Finora ci ha mantenuto Piansanoà il pane lo manda il nostro signor sindaco amatissimo di Piansano, che ho viva fede che Dio benedirà assai quella casa e il paese tutto; così prego che sia di Toscanella”(30). E le sue preghiere furono esaudite, perché in seguito i Tuscanesi, mossi dall'esempio della venerabile Lucia Burlini, cominciarono ad offrire soccorsi in abbondanza ai Passionisti, che riuscirono così non soffrire più disagi nella loro permanenza al Cerro(31).
 
 Rimaneva, comunque, il problema della ristrutturazione della “casina” posta sulla collinetta retrostante la chiesa per trasformarla in Ritiro. Il 13 agosto dello stesso anno 1748, p. Paolo si rammaricava con il pro-vicario don Pagliaricci perché ancora non erano iniziati i lavori di ristrutturazione(32); ma non si dava per vinto: egli sperava che l'opera dei suoi Passionisti facesse comprendere ai Tuscanesi il bene grande che il Ritiro del Cerro apportava e che avrebbe apportato “alla città e a tutta la maremmana campagna”(33).
 
 Comunque, poco tempo dopo, il vicerettore P. Domenico riuscì a dare il via ai lavori e a terminare la ristrutturazione del Ritiro con gli aiuti sostanziosi di un benefattore di Corneto: il sig. Giulio Bruschi. In questo modo si potè offrire una più decorosa dimora alla ventina di Passionisti, che dimoravano al Cerro(34).

 
 Dopo che fu edificato il Ritiro, P. Paolo trascorreva spesso l'inverno al Cerro, perché più mite che nel Ritiro di S. Angelo al Monte Fogliano(35). “Naturalmente, la permanenza del Fondatore - scrive p. Bernardino N. Bordo - era condizionata dalle frequenti Missioni al popolo… per cui non è da credere che la sua dimora [al Cerro] fosse stabile, oppure che, anche quando c'era, fosse in grado di accogliere e ascoltare chiunque fosse venuto a fargli visita. Certamente, in quei mesi freddi, per 15 anni [fino al 1765], il Ritiro del Cerro dovette trasformarsi come in una piccola centrale dell'Istituto nascente e in un epicentro d'irradiazione apostolica su quasi tutto il centro Italia”(36).

 
 In quei lunghi inverni di permanenza nel Ritiro tuscanese, grande fu la devozione di p. Paolo verso la Madonna del Cerro. Nel novembre 1764, rispondendo alla lettera di Maria Teresa Sancez Zelli di Vetralla, dichiarava tutto il suo dispiacere nel sentire che la donna era inferma (febbre e mal di testa) e la raccomandava caldamente al Signore tramite l'intercessione della Madonna: ”Io ho esclamato al Signore - la rassicura p. Paolo(37) - che per i meriti di Maria SS.ma, che si venera in questa nostra chiesa miracolosissima, come lo fanno vedere i voti appesi alle mura della chiesa, la voglia liberare da tal dolore e restituirle la perfetta salute… e, a tale effetto, le mando qui accluso un po' di bambace, sul quale ho fatto cadere qualche goccia d'olio della lampada che arde avanti la miracolosa Immagine di Maria SS.ma del Cerro”; poi le spiega anche le origini del Santuario: “… e si dice “del Cerro”, perché <la Sacra Immagine> fu ritrovata, molti anni fa, sopra di un cerro, che era dove ora è la chiesa”; infine le suggerisce di avere fiducia nell'effetto miracoloso delle gocce d'olio della lampada, che le ha inviato: “si ponga sulla fronte questo po' di bambace e lo tenga legato dalla sera, quando va a letto, fino alla mattina, con una fascetta, e prima di porlo sulla fronte reciti in ginocchio tre Ave Maria a Maria SS.ma del Cerro, e la preghi della sua santa benedizione e della grazia suddetta. Io l'ho benedetta dal sacro altare, massime ier mattina [festa di Tutti i Santi] nella messa solenne, che era scoperta la miracolosa Immagine. Abbia viva fede e ne benedica il Signore e Maria SS.ma”. Due mesi dopo, nel gennaio 1765, raccomandava a Maria Giovanna Venturi Grazi di Orbetello, sua figlia spirituale, di rimettersi sempre alla volontà di Dio e di praticare la devozione alla Madonna:
 
 Le mando un ritratto di questa miracolosa Immagine che veneriamo in questa nostra chiesa <del Cerro>. Spieghi quest'immagine e recitino insieme <Maria Giovanna ed il marito Vincenzo> con gran devozione l'Ave Maria”(38).
 
 Passò qualche anno. Ormai p. Paolo non veniva più al Cerro (l'ultima sua lettera da qui spedita è del 12 dicembre 1765; cfr. Lettere III, p. 742), ma intanto i rapporti tra il Comune ed i Passionisti erano decisamente migliorati. Venne tolta al Santese comunale l'amministrazione del Santuario e tutta la questione venne interamente affidata ai Passionisti (atto del 14 luglio 1774), compreso il vigneto, che stava sotto le finestre del Ritiro ed era causa di disturbo per i Passionisti. Si stabiliva anche che, se i Passionisti avessero abbandonato il Ritiro, i beni e la suppellettile sarebbero tornati in proprietà del Comune(39). Il vigneto, poi, venne tagliato e, l'anno successivo (1775), “fu stabilita un'ampia clausura ad uso di orto, prato e selva per la legna necessaria”(40).
 
 Nel 1776 si costruì un “corridoio” che dal Ritiro permise di comunicare con l'antico Romitorio adiacente alla chiesa, a sua volta restaurato per comodo degli infermi, degli ospiti e dei pochi religiosi, che vi restavano nel periodo estivo a custodia del Ritiro stesso(41).
 
 Dopo la morte di S. Paolo della Croce (18 ottobre 1775) e della venerabile Lucia Burlini (1° maggio 1789), il Ritiro del Cerro riuscì a sopravvivere ancora per alcuni anni. Nel 1796, durante il Capitolo Generale di Anguillara, i Passionisti decisero la chiusura del Ritiro (con l'approvazione del Papa) perché l'aria era poco salubre, perché gli infermi del Cerro dovevano essere portati, per le cure, a S. Angelo, arrecando scompiglio alle rigide regole di vita, ed infine perché la chiesa del Cerro minacciava rovina ed il Comune di Tuscania non provvedeva alle urgenti riparazioni (in Comune ci si preoccupava di più per agli armamenti, in vista dell'assalto delle truppe francesi che avanzavano minacciose nell'Italia centrale).
 
 Nel settembre di quell'anno, p. Pasquale di S. Pietro, il rettore del Cerro, con l'aiuto di altri Passionisti, fece cominciare in gran segreto il trasloco dei mobili, portandone buona parte al Ritiro di Corneto. il vicario generale della diocesi, Francesco Antonio Turriozzi, raccolte le chiacchiere sui preparativi di fuga dei Passionisti, quasi incredulo, si recò personalmente a verificare se le notizie avessero qualche fondamento: si vide presentare il documento papale che autorizzava lo smantellamento del Cerro e se ne tornò “disgustato ed afflitto” a Tuscania. La notizia dell'abbandono raggiunse in un baleno Piansano, Canino e Cellere: tutti corsero a presentare grandi quantità di offerte in denaro per restaurare il Santuario.
 
 In un primo momento sembrò che i Passionisti locali desiderassero tornare sulle loro decisioni, ma i superiori centrali furono irremovibili. La mattina del 21 dicembre, p. Luca Maria della SS. Trinità, inviato speciale per chiudere il Ritiro, ed il rettore p. Pasquale parteciparono ad una riunione del Consiglio comunale di Tuscania, nella quale subirono anche qualche ingiuria. Il giorno successivo si procedette all'inventario dei beni mobili (realizzati dai Passionisti) che rimanevano al Santuario: un quadro della Madonna con suo cristallo, la balaustra di legno, le stazioni della Via Crucis, qualche pianeta, qualche camice e altro. La mattina del 23, i due padri celebrarono la S. Messa, una votiva alla Madonna del Cerro per ringraziarla dell'assistenza concessa ai Passionisti durante i cinquant'anni della loro permanenza, l'altra per in suffragio dei religiosi defunti in quel Ritiro(42). “Recitammo poi le litanie della Madonna - racconta personalmente p. Luca Maria della SS. Trinità(43) - (per verità non senza lacrime, giacché per parte mia confesso che provai una gran pena nell'abbandonare quella santa immagine della Madonna del Cerro) poi partimmo per S. Angelo, essendo quattro religiosi… Non voglio tralasciare di dire che, giunti in vista del fontanile, che sta fuori della porta di Toscanella(44), alcune di quelle donne, che erano ivi, al vederci comparire esclamarono: “Ecco li Francesi!” (e l'ascoltai io stesso) tanto rumore s'era messo nella plebaglia per aver noi portato via la roba nostra!
 
S. Paolo della Croce e la “tessitrice di Piansano”, la Venerabile Lucia Burlini, hanno reso eternamente sacro il Ritiro del Cerro, ma non possiamo chiudere il discorso senza ricordare anche il Servo di Dio fratel Giacomo di S. Luigi (Gianiel), che scese dal Cantone svizzero dei Grigioni per seguire la schiera di S. Paolo. Visse al Cerro fin dalla sua fondazione. “Svolse lavoro di cucina; ma in condizioni di spazio e di mezzi che esigevano eroismo autentico… Tutti erano colpiti dalla sua solerzia infaticabile; ma più ancora dalla delicatezza del tatto e dalla straordinaria modestia che portava in tutto”(45). Morì a Cellere, dove si trovava occasionalmente, a soli 36 anni, il 14 agosto 1750: “quando il giorno appresso, solennità dell'Assunta, fu portata in chiesa la sua salma per le esequie, qualcuno vide in cielo un arco luminoso che dall'Argentario raggiungeva Cellere e si perdeva in direzione est. I Passionisti di Tuscania reclamarono i resti mortali del loro caro confratello svizzero; ma il vescovo di Acquapendente non lo permise: i santi devono rimanere dove cadono!”(46).
 
 Così pure non possiamo dimenticare il Servo di Dio p. Bernardino di Gesù. Bernardino dei conti Anguillara, nativo di Blera, sposò Benedetta Barbacci di Tuscania. Rimasto vedovo nel 1742 e sistemato il figlio (i cui discendenti vivranno a Tuscania, in Poggio, nel palazzo Anguillara), Bernardino fu ordinato prima sacerdote (1743), poi divenne Passionista all'Argentario (aprile 1751) ed assunse il nome di p. Bernardino di Gesù. P. Paolo lo destinò al Ritiro del Cerro, dove visse, con le mansioni di confessore, fino alla morte (5 aprile 1767, a 56 anni). P. Bernardino “aveva una tale efficacia, una tale grazia ed unzione il suo parlare che punto non annoiava gli ascoltanti, che anzi li edificava grandemente, e consolàvali. Lo stesso S. Paolo, quando stava a S. Maria del Cerro, gustava assai di sentirlo discorrere di Dio; e talvolta s'internavano ambedue tanto in questi santi ragionamenti, che, accendendosi l'un l'altro, facevano restar stupiti i religiosi presenti, i quali partivano dalla ricreazione come se fossero usciti dall'orazione… Si racconta nelle memorie che, seguìta la morte, varie persone ottennero dal Signore delle grazie, invocando l'intercessione del Servo di Dio”(47).



 
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